Un incubo. Mesi fatti di inganno, violenza e costrizioni, si sono conclusi grazie al coraggio di una giovane donna e all'intervento decisivo delle forze dell'ordine. È accaduto a Rimini, dove una coppia di origini bangladesi - 55 anni lui, 42 anni lei - è stata arrestata per aver obbligato la figlia maggiorenne a contrarre un matrimonio combinato, drogandola affinché restasse incinta. Una vicenda drammatica, che richiama, purtroppo, altri casi passati.
Tutto è iniziato nel novembre 2024, quando la giovane - secondo quanto riportato da fonti locali - sarebbe stata convinta dai genitori a recarsi nel Paese natale con una scusa, per poi essere privata di documenti e carte di credito, ritrovandosi prigioniera della sua stessa famiglia.
I genitori, in pratica, l'avrebbero costretta con violenza a sposare un uomo molto più anziano di lei, scelto perché appartenente a una famiglia benestante. Solo l'inizio di un incubo più grande.
Dopo la cerimonia, celebrata il 17 dicembre dello stesso anno, la giovane avrebbe subito continue minacce e maltrattamenti, venendo in più occasioni drogata con farmaci propedeutici a favorire una gravidanza e sedativi, per ridurne la capacità di azione.
Un calvario durato mesi, finito solo quando la ragazza ha trovato la forza di reagire. L'occasione è stata il permesso accordatole dai parenti di rientrare temporaneamente in Italia per consultare dei medici.
Una volta atterrata a Bologna, nell'aprile 2025, la giovane si è immediatamente rivolta ai carabinieri, che l'hanno ascoltata e protetta. La Procura di Rimini, coordinata dal pm Davide Ercolani, ha quindi avviato un'inchiesta. Poi è arrivato l'arresto dei genitori.
I due, difesi dall'avvocata Valentina Vulpinari, sono ora ai domiciliari. Gli elementi raccolti nel corso delle indagini a loro carico avrebbero confermato la gravità e la continuità dei reati commessi, di cui alcuni fuori dal territorio nazionale.
La vittima si trova attualmente in una struttura protetta, assistita da professionisti specializzati. Il suo caso, però, non è isolato. Negli ultimi anni, diverse storie simili sono salite alla ribalta delle cronache, venendo denunciate da associazioni e organizzazioni attive contro le violazioni dei diritti umani.
Emblematica la vicenda di Saman Abbas, la giovane pachistana uccisa a Novellara, in provincia di Reggio-Emilia, dai familiari. La 18enne si era opposta a un matrimonio combinato nel suo Paese d'origine. Nel maggio 2021, come stabilito finora in sede processuale, i genitori la attirarono in una trappola.
La madre, in particolare, le scrisse un messaggio in cui le chiedeva di tornare a casa, facendo intendere che avrebbero accettato ogni sua decisione. Anche quella di frequentare, come faceva da un po', il suo fidanzato, Saqib Ayub, conosciuto online. Alcune videocamere di sorveglianza hanno ripreso l'attimo in cui la giovane li segue.
All'interno di una serra situata dietro l'abitazione di famiglia la 18enne sarebbe stata poco dopo strangolata dallo zio, Danish Hasnain. Il suo corpo fu ritrovato solo nel novembre 2022, grazie alle dichiarazioni dell'uomo, che infatti ha ricevuto una condanna meno severa rispetto agli altri familiari.
Tra i condannati, anche i cugini di Saman, Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, che avrebbero partecipato al delitto, scavando la buca (profondissima) in cui il cadavere della 18enne fu nascosto. Nelle motivazioni i giudici hanno scritto che tutti loro "non sopportavano il suo desiderio di autonomia e indipendenza".
Mettendo in evidenza come - il controllo familiare - possa trasformarsi in violenza sistematica. Una circostanza che torna d'attualità dopo il caso di Rimini. Stimolando una riflessione su quanto i diritti femminili siano ancora messi a rischio. E quanto ancora resti da fare in tema di prevenzione.