La notte appena trascorsa segna un nuovo drammatico capitolo per la Global Sumud Flotilla, impegnata in una missione umanitaria diretta verso la Striscia di Gaza. A raccontare in prima persona quanto accaduto è Yassin Lafram, uno dei partecipanti a bordo di una delle barche civili della spedizione, intervistato oggi da Radio Cusano Campus.
Le sue parole restituiscono il quadro di una traversata sotto altissima tensione, in cui la presenza e le manovre delle navi militari israeliane hanno messo a rischio l'incolumità dei presenti, segnando una netta linea fra l'iniziativa umana e la brutalità degli interventi di deterrenza nel Mediterraneo.
All’alba, Yassin Lafram descrive le condizioni a bordo: equipaggio provato, uomini e donne che hanno cercato di riprendersi dopo una notte difficilissima. Diverse navi militari israeliane - ha spiegato - si sono avvicinate pericolosamente alle piccole imbarcazioni civili, sfiorando più volte la collisione e attuando una vera e propria strategia di intimidazione.
Nei racconti di Lafram, la minaccia di essere abbordati – già preannunciata per le prossime ore – si fa concreta e si somma a quella appena vissuta. “Pensavamo di essere abbordati e dovevamo riorganizzarci in fretta e furia”, ha dichiarato, sottolineando lo stress e la paura vissuti dall’intera spedizione.
Il quadro che emerge dalle dichiarazioni è quello di un’azione umanitaria che si trova a confrontarsi direttamente con azioni di guerra, non solo simboliche. Lafram ricorda che tra gli attivisti vi sono civili: medici, ingegneri, genitori, lavoratori. Il loro obiettivo è “rompere o mettere in discussione l’assedio su Gaza, mai sfidato così apertamente dal 2009”.
L’assedio, spiega, è usato come arma di guerra contro una popolazione che soffre ed è proprio questa realtà che la flottiglia vuole denunciare e contrastare con la propria presenza.
In particolare, Lafram rivela che la nave madre “Alba” è stata quasi speronata dalle navi militari israeliane, un gesto che poteva facilmente tradursi in tragedia. “Gli israeliani sanno perfettamente cosa fanno in mare - sono addestrati per questo. Noi siamo civili, con capitani esperti ma pur sempre su piccole barche”, racconta. Il clima a bordo oscilla tra la paura, definita “sana e naturale”, e la determinazione a portare a termine la missione nonostante i rischi immediati, anche per la consapevolezza dell’enorme disparità di forza in campo.
Già nella notte di sei giorni prima, la flottiglia aveva subito un attacco diretto con bombe sonore: in quell’occasione, l’onda d’urto aveva spezzato il cavo che sosteneva l’albero di una delle barche. Lafram sottolinea quanto fosse potente e resistente quel cavo, invitando a riflettere sulle possibili conseguenze per l’equipaggio se l’impatto avesse coinvolto una persona. “Non è un gioco, non è una crociera: la nostra è una missione per la vita, contro la fame e la guerra”.
L’eco politica e mediatica dell’operazione è fortissima, tanto che la stessa stampa israeliana, racconta Lafram, riporta i reiterati alt imposti dal governo di Tel Aviv e le minacce di sequestro di centinaia di attivisti. In Italia, la tensione cresce: la CGIL ha annunciato uno sciopero se anche un solo partecipante sarà bloccato, e sono in programma manifestazioni di supporto. Lafram evidenzia il rischio reale che la vicenda possa avere ripercussioni anche sulle dinamiche interne del nostro Paese.
Mentre la flottiglia naviga nelle acque definite “zona arancione” da Israele – già ben oltre le 12 miglia delle acque territoriali di Gaza, che Lafram definisce “occupate illegittimamente” – la posizione degli attivisti rimane chiara: nessuno si aspetta una semplice richiesta di stop, bensì un vero intervento coattivo e un abbordaggio militare imminente. E il messaggio finale, rilanciato dallo stesso Yassin Lafram, è un appello a preservare la dignità e la vita umana in una situazione che di umanitario rischia di avere sempre meno.