Per decenni, il mondo ha conosciuto Robbie Williams come l'epitome dello showman: un artista carismatico, sfrontato e capace di dominare stadi interi con un'energia apparentemente inesauribile.
Ma dietro la maschera del performer si nasconde una realtà ben più complessa e tormentata. In una recente e coraggiosa confessione, la popstar britannica ha sollevato il velo su una delle sue lotte più private, rivelando di convivere con la sindrome di Tourette, una condizione neurologica che, nel suo caso, si manifesta in una forma insidiosa e prevalentemente interiore.
Intervenendo nel podcast "I ADHD! No, You Don't" di Paul Whitehouse, Williams ha descritto la sua esperienza non attraverso i tic fisici o vocali comunemente associati alla sindrome, ma come una tempesta incessante di "pensieri intrusivi".
È una battaglia silenziosa, combattuta nella sua mente anche nei momenti di massimo trionfo. "Non pensare che uno stadio pieno di persone che ti amano possa essere una distrazione," ha confidato, "perché quello che ho io non lo sente. Non riesco a sopportarlo."
Questa frase, cruda e potente, demolisce l'illusione che il successo e l'adorazione del pubblico possano essere un balsamo per le ferite invisibili dell'anima.
Questa rivelazione getta una luce completamente nuova sulla sua complessa relazione con il palcoscenico. Williams ha ammesso di provare una profonda paura prima di ogni tour, un sentimento che stride violentemente con l'immagine di sicurezza che proietta.
"La gente mi chiede: 'Andrai in tour? Sarai emozionato?'. In realtà, ho paura," ha spiegato. Ha descritto la sua intera carriera come un'incredibile performance attoriale, in cui ha mascherato la sua vulnerabilità "come un campione olimpico", fingendo di essere affidabile e orgoglioso mentre dentro provava l'esatto opposto.
Il quadro clinico che emerge dalle sue parole è un complesso mosaico di neurodivergenza.
Oltre alla Tourette, Williams ha raccontato di aver ricevuto per tre volte una diagnosi di ADHD e, sebbene un recente test per l'autismo sia risultato negativo, il medico ha riscontrato in lui la presenza di "tratti autistici", come un'acuta ansia quando si trova al di fuori della sua zona di comfort.
La sua vita, ha lasciato intendere, è una perenne "ricerca di una cura" per il tumulto che abita la sua mente, un desiderio di pace che la fama e la fortuna non possono comprare.
La confessione di Williams offre un'importante occasione per comprendere la sindrome di Tourette al di là delle rappresentazioni spesso caricaturali. Si tratta di una condizione neurologica che provoca movimenti e suoni involontari chiamati "tic".
Sebbene comunemente associata a tic fisici come smorfie, scrollate di spalle o movimenti a scatto, e a tic vocali come grugniti o schiarimenti di gola, la sindrome ha uno spettro di manifestazione molto ampio.
È fondamentale sottolineare che la coprolalia, ovvero l'emissione involontaria di imprecazioni, è un sintomo raro che colpisce solo una minoranza (circa il 10%) delle persone con questa condizione. L'esperienza di Williams, centrata sui pensieri intrusivi, evidenzia come la Tourette possa essere una condizione primariamente interna, un bombardamento mentale che, pur non essendo visibile all'esterno, è altrettanto estenuante.
In questo percorso difficile, un ruolo fondamentale è svolto dalla moglie, Ayda Field, che rappresenta la sua ancora di salvezza.
Williams ha raccontato come lei cerchi costantemente di offrirgli una prospettiva diversa, ricordandogli il privilegio e la gioia che si celano dietro le sue paure. "Forse non avrai più l'opportunità di esibirti negli stadi. Quanto sei felice!" gli ripete, un tentativo amorevole di ancorarlo al presente e di trasformare l'ansia in gratitudine.
La sua testimonianza è un potente promemoria dell'importanza di parlare di salute mentale, abbattendo lo stigma e incoraggiando un dialogo più onesto e compassionevole.