06 Oct, 2025 - 14:20

I Giovani Palestinesi di Bologna festeggiano il 7 ottobre: un regalo alla propaganda sionista

I Giovani Palestinesi di Bologna festeggiano il 7 ottobre: un regalo alla propaganda sionista

C’è un confine sottile tra la solidarietà alla causa palestinese e la sua strumentalizzazione ideologica, e purtroppo i Giovani Palestinesi di Bologna lo hanno oltrepassato.

Il loro invito a manifestare il 7 ottobre, data del sanguinoso attacco di Hamas contro Israele nel 2023, con lo slogan “viva il 7 ottobre”, è un errore politico e morale che rischia di gettare discredito su un intero movimento di solidarietà internazionale.

Invece di servire la causa della libertà del popolo palestinese, un gesto del genere finisce per offrire un assist perfetto alla propaganda sionista, che da anni costruisce l’equazione tossica tra “pro-Palestina” e “pro-Hamas”.

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Quando l'ideologia offusca la ragione

Nessuno può negare la brutalità dell’occupazione israeliana, l’assedio di Gaza e le continue violazioni dei diritti umani inflitte ogni giorno ai palestinesi. Denunciare questo sistema di apartheid è un dovere di civiltà. Ma confondere la resistenza di un popolo con la brutalità di un gruppo armato fondamentalista è una trappola in cui cadono i militanti meno consapevoli.

Il 7 ottobre 2023 non è stato un atto di liberazione, ma una strage. Celebrarlo significa ignorare le centinaia di vittime civili innocenti di quell’attacco, e soprattutto tradire il principio di giustizia che dovrebbe animare ogni movimento anticoloniale autentico.

Quella data, utilizzata come simbolo di “orgoglio” o “rivincita”, non restituisce dignità a Gaza. Al contrario, la riduce a una caricatura violenta utile alla narrazione israeliana, secondo cui qualunque sostegno alla Palestina coincide con l’apologia del terrorismo.

E oggi, nel cuore dell’Europa, questo tipo di messaggi fornisce all’opinione pubblica mainstream tutti gli argomenti per bollare ogni forma di attivismo palestinese come estremista.

Un regalo alla propaganda israeliana

Da due anni, Israele e i suoi alleati mediatici hanno costruito un racconto martellante: “Chi difende la Palestina difende Hamas”. Un’affermazione falsa, ma efficace sul piano comunicativo. Ogni gesto come quello dei Giovani Palestinesi di Bologna diventa, in questa cornice, un’arma perfetta per chi vuole criminalizzare il dissenso e mettere a tacere le voci internazionali che denunciano crimini di guerra e apartheid.

Celebrando il 7 ottobre, il gruppo bolognese ha fatto il gioco di chi vuole screditare la causa palestinese presentandola come un movimento di fanatici. Il risultato? Ogni discussione sulla legittimità dell’autodeterminazione palestinese si sporca di sospetto. Ogni studente, ogni attivista, ogni ong che critica Israele finisce per essere associato – anche ingiustamente – al terrorismo islamista.

La propaganda israeliana non avrebbe potuto chiedere di meglio: una frangia di militanti che, in nome della rabbia, fornisce prove simboliche per rafforzare il suo stesso discorso.

L’errore strategico dei movimenti pro-Palestina

Chi sostiene la Palestina oggi dovrebbe capire che la battaglia si combatte anche sul terreno della comunicazione. Le parole contano quanto i fatti. Manifestare per Gaza non significa sposare la violenza di Hamas, ma difendere i diritti umani, la libertà e la giustizia universale.

Ogni slogan che rimanda a quella giornata di sangue annulla decenni di impegno civile, di testimonianze di giornalisti, attivisti e pacifisti palestinesi che hanno scelto la non violenza come strumento di resistenza.

I Giovani Palestinesi di Bologna, con la loro superficialità, hanno ignorato questa eredità, preferendo un gesto emotivo e provocatorio che non scuote il potere, ma confonde le alleanze.

Riprendersi la narrazione

Se davvero si vuole sostenere Gaza, occorre cambiare linguaggio. Bisogna rivendicare la Palestina dei diritti, non la Palestina delle vendette. Denunciare le colonie, non glorificare i massacri. Rivolgersi all’opinione pubblica italiana ed europea non con slogan incendiari, ma con dati, testimonianze, appelli morali. Solo così la solidarietà può tornare ad essere credibile, popolare e soprattutto efficace.

Il 7 ottobre non è un giorno da festeggiare, ma da ricordare come una tragedia che ha fornito ad Israele il pretesto per intensificare la sua offensiva contro Gaza.

Chi oggi lo celebra non difende la Palestina: la sabota. Perché la lotta per la giustizia non si vince gridando “viva la morte”, ma costruendo un linguaggio politico capace di disarmare la propaganda e restituire umanità a un popolo che da troppo tempo, nel silenzio del mondo, continua a morire.

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