09 Oct, 2025 - 11:30

"Familiar Touch": esordio cinematografico pluripremiato per la regista Sarah Friedland

"Familiar Touch": esordio cinematografico pluripremiato per la regista Sarah Friedland

"Familiar Touch", considerazioni e critica

Se c’è una cosa che mi spaventa moltissimo è l’idea di smarrire la memoria e la coscienza di sé, al punto tale che, quando mi capita di svegliarmi di soprassalto, confusa e in preda a un attacco di terrore notturno, per sedare il panico, comincio a ripetere mentalmente tutti i miei dati anagrafici e quelli dei miei parenti più prossimi. Un altro pensiero che da qualche anno mi devasta è il fatto che i miei nonni, ormai invecchiati, si stiano avvicinando con rapidità alla fine dei loro giorni. Non so voi, ma io ho sempre avuto un pessimo rapporto con la morte e proprio non riesco ad accettare il fatto che si debba morire. Se è vero che giungere alla terza età è un privilegio che non tutti possono avere, la vecchiaia, che ci piaccia o no, è comunque un periodo tragico. Questa è di sicuro una verità difficile da ammettere e di cui nessuno vorrebbe discutere a voce alta, ma con l’avanzare dell’anzianità è come se intorno a chi invecchia si creasse una ragnatela, un velo doppio o una sorta di bozzolo, che avvolge e separa chi non è più giovane da chi ancora lo è. Col progredire della scienza siamo riusciti ad aumentare l’aspettativa di vita di tanti decenni, ma è come se quegli anni guadagnati diventassero un vuoto a perdere.

Pensateci, quanto spesso con sprezzante meschinità ci ritroviamo a parlare dei famosi “vecchi” definendoli un peso inutile: in fila alle poste, sulle strisce pedonali quando un anziano attraversa la strada in modo troppo flemmatico, al supermercato se ci fanno sprecare del tempo o se in qualunque maniera rappresentano un fastidio, rallentando il ritmo frenetico delle nostre giornate. A meno che il “vecchio” non appartenga ai nostri affetti più cari, diventiamo insensibili e cattivi. Un altro aspetto discutibile è il dare per scontato che la vita, dopo una certa soglia, possa dare soddisfazione solo attraverso la felicità e i traguardi degli altri; ad esempio, la nascita di un nipote, il matrimonio o la carriera di successo di un figlio, o addirittura le gioiose novità nell’esistenza del vip di turno. Non si considera la possibilità di voler ancora coltivare degli interessi e avere degli impegni che non siano cucinare un pranzo domenicale, giocare a bocce o ballare il liscio. E questo anche quando la demenza non sopraggiunge. Eppure sono le stesse persone che un tempo avevano un lavoro, delle passioni, delle cose interessanti da raccontare e delle ambizioni. Riuscite ad immaginare quanto sia umiliante e mortificante essere guardati con la stessa compassione con la quale si guarda un animale in gabbia? Espressioni come “la nonnina” per definire una donna anziana, anche se non ci è parente, quel “poveretto” sussurrato a voce bassa alle spalle del novantenne di turno. Anche se fatto in buona fede, ci ritroviamo a pensare che superati gli ottanta si rinunci ad avere una dignità e smettiamo di ascoltare e di prendere davvero in considerazione parole, pensieri, bisogni. 

La regista Sarah Friedland, anti‑ageista convinta, ha voluto girare un film, di cui ha scritto anche la sceneggiatura, per mostrare al pubblico il punto di vista di un’ottantenne coi primi sintomi di Alzheimer, ma che possiede ancora ampie capacità creative in cucina e una voglia sfrenata di libertà e indipendenza. Familiar Touch è stato presentato in anteprima, il 3 settembre 2024, all'81ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Orizzonti. Pluripremiato durante il Festival, ha ricevuto: il premio Leone del Futuro come opera prima, il Premio Orizzonti per la miglior regia e ancora un altro Premio Orizzonti per la miglior interpretazione femminile, alla protagonista.

Ruth (Kathleen Chalfant) è un’ex cuoca professionista che sin da bambina ha affinato il suo talento cucinando insieme alla nonna. Ha una grande carriera alle spalle, un matrimonio bellissimo e un figlio, ormai adulto, di nome Steve (H. Jon Benjamin). Ma nella sua entusiasmante esistenza ha anche dovuto affrontare la triste morte del marito e la necessità di ricostruire da capo una quotidianità e degli spazi dove sentirsi comunque a casa, pur essendo rimasta sola. E adesso, purtroppo, sta anche iniziando a perdere la memoria a lungo termine. Ruth ha un carattere forte e deciso, quasi indomabile, è fiera e tosta come l’acciaio. Proprio per questo, quando Steve la accompagnerà presso la casa di riposo nella quale lei dovrà trasferirsi, a causa dei sopraggiunti problemi mentali, con difficoltà dovrà attraversare un doloroso percorso di accettazione e consapevolezza.

Il primo lungometraggio di Sarah Friedland, californiana, classe ’92, è stato girato al Villa Gardens Continuing Care Retirement Community, una residenza per anziani, di Pasadena. Nella fase precedente all’inizio delle riprese, i veri residenti del centro sono stati coinvolti con dei corsi di recitazione e, esclusi quelli affetti da uno stadio di demenza troppo avanzato, hanno poi recitato nella pellicola. La brillante attrice Kathleen Chalfant, giunta ormai all'età di ottant'anni, conosciuta e apprezzata soprattutto per la sua carriera teatrale, ha interpretato i panni della protagonista in modo estremamente convincente. La Chalfant nella sua prova attoriale è riuscita nell’arduo compito di rendere Ruth un personaggio a cui affezionarsi, suscitando nel pubblico stima, ammirazione e affetto, non commiserazione e pietà. E questo era l’esatto obiettivo della regista. 

Familiar Touch mostra la prospettiva di chi invecchia e sta smarrendo i ricordi, dicendo addio a un pezzo grande della propria identità. Lungometraggio delicato, ma dal profondo impatto emotivo, davanti al quale ti assale, seppur con dolcezza, una tristezza incontenibile. Se dovessi fare un appunto alla pellicola, pur avendone apprezzato la delicatezza e l’eleganza, risulta tutto troppo soave. Chiara scelta stilistica, ma forse un po’ di pathos in più non avrebbe guastato.
3,6 stelle su 5.

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