10 Oct, 2025 - 09:14

Plusvalenze Napoli-Osimhen: Chinè mostra il suo vero volto, una giustizia sportiva solo contro la Juve

Plusvalenze Napoli-Osimhen: Chinè mostra il suo vero volto, una giustizia sportiva solo contro la Juve

La gestione dei casi plusvalenze in Italia ha smascherato Chinè e una giustizia sportiva malata, costruita su due pesi e due misure. 

Al centro di questo sistema opaco c’è Giuseppe Chinè, procuratore federale FIGC, che sembra aver assunto il ruolo di giudice implacabile solo quando si tratta della Juventus.

Lo stesso rigore, però, sparisce misteriosamente quando sul tavolo ci sono altri club. Il caso Napoli, e in particolare l’operazione Osimhen, è la prova lampante di questa ipocrisia istituzionale.

Il Caso Osimhen-Napoli: prove ignorate, nessuna sanzione

Nel 2020 il Napoli ha chiuso con il Lille un affare da circa 70 milioni di euro per l’acquisto di Victor Osimhen. Un’operazione costruita su un sistema di valutazioni gonfiate e plusvalenze fittizie, con giovani calciatori scambiati a cifre del tutto scollegate dal loro reale valore di mercato.

Documenti, intercettazioni e rapporti della Guardia di Finanza hanno mostrato chiaramente un disegno contabile finalizzato ad abbassare l’esborso reale per l’attaccante nigeriano.

Eppure, di fronte a prove così evidenti, Chinè e la FIGC hanno scelto di voltarsi dall’altra parte. Nessuna indagine sportiva, nessun deferimento, nessuna penalizzazione. Tutto archiviato in silenzio, come se nulla fosse.

Il Napoli ha continuato il suo percorso in campionato senza alcuna conseguenza, protetto da un muro di indifferenza istituzionale.

Un atteggiamento che, se confrontato con ciò che è stato riservato alla Juventus, ha il sapore di una scandalosa protezione politica.

Juventus: il bersaglio designato

Mentre il caso Napoli veniva insabbiato, la Juventus è stata travolta da una vera e propria persecuzione. Sotto la regia di Chinè, il club bianconero è stato colpito con una penalizzazione di 15 punti, l’esclusione dalle coppe europee e l’inibizione dei suoi dirigenti principali.
Nonostante i casi di plusvalenze contestati coinvolgessero altre società, l’unica a essere colpita duramente è stata la Juve. Gli altri club? Tutti prosciolti.

Chinè ha mostrato un rigore selettivo, un accanimento che non si può più definire casuale. La sua condotta appare quella di un procuratore mosso non dal desiderio di giustizia, ma dalla volontà di “colpire” un simbolo, quasi fosse una missione personale.

Il doppio standard che distrugge la credibilità della FIGC

La disparità di trattamento tra Napoli e Juventus non è solo una macchia, è una ferita profonda nella credibilità del sistema sportivo italiano. Quando un procuratore federale sceglie consapevolmente di perseguire un solo club, ignorando altri casi documentati, non si può più parlare di giustizia: si parla di vendetta.

Chinè, nel suo ruolo, avrebbe dovuto garantire equilibrio e imparzialità. Invece, ha alimentato l’idea di un potere arbitrario, esercitato con criteri politici più che sportivi. Così facendo, ha trascinato l’intera FIGC in un baratro di sfiducia e sospetto.

Il messaggio è chiaro: in Italia non tutti i club sono uguali davanti alla giustizia sportiva. Alcuni vengono protetti, altri devono essere puniti — e la Juventus, ancora una volta, è stata scelta come vittima sacrificale.

Chinè, il Procuratore del potere e non della giustizia

Il comportamento di Chinè non può più essere spiegato come semplice severità. Si tratta di un vero e proprio accanimento istituzionale. Il procuratore federale ha ignorato fatti, documenti e testimonianze quando questi coinvolgevano altre società, scegliendo di concentrare tutta la propria energia contro la Juventus.

Un procuratore che si muove così non difende la legalità, ma un disegno preciso. E quando la giustizia diventa selettiva, smette di essere giustizia: diventa propaganda.

Restituire onestà alla Giustizia Sportiva

Il sistema guidato da Chinè ha perso la sua legittimità. La sua gestione delle indagini sulle plusvalenze rappresenta l’emblema di una giustizia sportiva a senso unico, cieca con alcuni, spietata con altri.

Se il calcio italiano vuole recuperare la propria dignità, serve un cambio radicale: un procuratore che non indossi la maglia di nessuno, che applichi le regole con equità, non con pregiudizio.

Fino a quando figure come Chinè continueranno a usare la giustizia come strumento di potere, ogni sanzione, ogni decisione e ogni verdetto resteranno marchiati da un’unica verità: la FIGC non cerca la giustizia, ma solo il colpevole che le conviene.

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