Il voto di sfiducia del 9 ottobre 2025 contro Ursula von der Leyen ha segnato una delle pagine più controverse della storia recente dell’Unione Europea, rivelando il vero volto del compromesso politico a Bruxelles.
In questa occasione, Giorgia Meloni e Elly Schlein hanno scelto di schierarsi dalla stessa parte per impedire la caduta di una presidente della Commissione ormai sempre più isolata e screditata, garantendole la sopravvivenza proprio grazie ai voti determinanti di Fratelli d’Italia e Partito Democratico.
La presidente della Commissione europea ha superato due mozioni di sfiducia: una presentata dalla destra sovranista dei Patrioti per l’Europa, l’altra dal gruppo della Sinistra radicale.
La plenaria del Parlamento europeo ha respinto entrambe, ma la salvezza di Von der Leyen è passata, nei fatti, per il voto compatto dei gruppi centristi, tra cui FdI e Pd, che hanno preferito difendere la stabilità del sistema attuale rispetto a una seria autocritica sulle politiche dell’UE.
I numeri sono impietosi: la mozione dei Patrioti è stata respinta con 378 voti contrari, 179 a favore e 37 astenuti; quella della Sinistra ha visto 383 contrari, 133 favorevoli e 78 astenuti.
Quello che si è visto a Strasburgo è lo specchio di una casta politica incapace di ascoltare il grido di allarme che arriva dalle piazze e dagli stessi cittadini europei.
I gruppi che avrebbero potuto segnare un punto di svolta – Movimento 5 Stelle e verdi – hanno invece visto i propri voti annacquarsi in una maggioranza trasversale dove ideologia e coerenza sono state sacrificate sull’altare della sopravvivenza politica.
La scelta di FdI e Pd di salvare Von der Leyen non è solo un errore politico, ma un chiaro segnale di allineamento con i “folli piani di guerra” della presidente della Commissione.
La sua agenda parla chiaro: incremento della spesa militare, compromessi al ribasso sugli accordi commerciali (come quello con gli Stati Uniti), scelte di campo nette sui conflitti internazionali. Ma il vero dramma è il cambio di priorità: difesa e guerra prima dei diritti, dell’ambiente, della diplomazia.
Quella di Meloni e Schlein è una complicità sconcertante. La premier italiana, mentre in patria si affida a una retorica sovranista, in Europa mostra il volto del conformismo, votando senza battere ciglio per salvare la tecnocrazia di Bruxelles.
Più grave, se possibile, è la posizione di Schlein e del Pd, che svendono ogni retorica progressista per diventare garanti di una Commissione che, nel giro di pochi mesi, ha deluso su ogni fronte: Palestina, clima, sanità pubblica, lavoro.
Entrambe le leader hanno dato prova di totale subalternità ai diktat dei poteri politici ed economici che guidano l’Unione, chiudendo gli occhi su un’operazione di restaurazione dell’establishment che presto presenterà il suo conto ai popoli europei.
I piani di Von der Leyen non sono mai stati così chiari come oggi: preparare l’Unione Europea a un ruolo bellico globale, sacrificando gli storici principi di pace su cui era nata l’Europa unita.
Dalla guerra in Ucraina alla complicità passiva nel conflitto a Gaza, la Commissione ha adottato la logica militare come risposta universale a ogni problema.
I cittadini europei, però, non hanno votato per la guerra. E se oggi Von der Leyen è ancora saldamente al suo posto, il merito – o la colpa – è delle due facce della politica italiana, Giorgia Meloni ed Elly Schlein: unite non da una visione per il futuro, ma dal più vecchio e stanco dei riflessi di palazzo – la paura di perdere il potere.
Questa alleanza di ferro tra destra e sinistra a tutela della “presidentessa della guerra” resterà come una delle pagine più amare e vergognose di questa legislatura europea.
La storia giudicherà chi, per paura o per calcolo, ha preferito salvare i folli piani di guerra di Von der Leyen invece di schierarsi finalmente dalla parte dei popoli europei.