Il riarmo italiano, imposto dalla NATO, rappresenta uno degli eventi più controversi e dannosi della politica nazionale degli ultimi decenni, come sottolinea anche l’analisi di Francesco Vignarca (coordinatore Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo) per l'Osservatorio Milex.
L’Italia si è ritrovata, ancora una volta, a dover obbedire ciecamente agli ordini di Washington e della NATO, sacrificando risorse fondamentali per il welfare, la sanità e i servizi pubblici, in favore di un’espansione senza precedenti delle spese militari. Il tutto nel più totale tradimento della narrazione sulla sovranità nazionale che aveva portato Giorgia Meloni al potere.
La pressione della NATO, a trazione statunitense, ha imposto all’Italia un progressivo aumento delle spese militari fino a livelli mai raggiunti prima.
Secondo l’analisi Milex, la spesa militare italiana arriverà a superare i 33 miliardi di euro nel 2025, con un’impennata del 12,4% in un solo anno e un incremento del 60% nell’ultimo decennio.
Questo trend proseguirà, perché la nuova direttiva occidentale impone ai membri di destinare fino al 5% del PIL alla difesa entro il 2035, più che raddoppiando risorse già oggi sottratte a scuola, sanità, pensioni e servizi sociali. Gli esperti sottolineano apertamente che si tratta di una scelta imposta e non negoziabile: il governo italiano, oggi come ieri, non possiede alcun reale margine di autonomia rispetto ai diktat USA-NATO.
La retorica elettorale di Giorgia Meloni, tutta incentrata su sovranità, interesse nazionale e rottura con la subordinazione rispetto agli Stati Uniti, si è rivelata completamente vuota.
Al governo, Meloni si è allineata senza esitazioni agli impegni NATO, acconsentendo a un piano di militarizzazione progressiva che costerà ai cittadini italiani oltre 100 miliardi di euro ogni anno nei prossimi decenni.
Le analisi sui numeri mettono in luce l’assoluta sproporzione del riarmo rispetto alle necessità sociali e ai diritti fondamentali della cittadinanza. E smascherano l’assenza di vera opposizione o negoziazione da parte dell’esecutivo: il Parlamento ratifica, l’esecutivo esegue, la società italiana paga il conto sotto forma di tagli a tutti i settori fondamentali del welfare pubblico.
Secondo le stime raccolte da Milex, la spesa militare effettiva arriverà a rappresentare almeno l’1,5% del PIL già nel 2025, ma questa percentuale salirà a ritmi vertiginosi in prospettiva NATO, con un impatto devastante sui servizi di base e sulle fasce più deboli della popolazione.
Le riflessioni di Vignarca sottolineano la gravità del quadro: “L’Italia di fatto esegue senza discutere, mentre la clausola di salvaguardia europea copre solo parzialmente i costi e i governi futuri erediteranno un debito mostruoso per finanziare la corsa agli armamenti”.
Le promesse di Meloni – secondo cui l’incremento delle spese militari non avrebbe tolto “un euro agli italiani” – sono clamorosamente smentite da tutti gli osservatori indipendenti, compresi l’UPB e la Corte dei Conti.
La realtà è che, di fronte ai diktat della NATO e degli USA, l’Italia non possiede più sovranità economica, politica e militare. Il governo Meloni, al di là della propaganda, si è mosso nella più totale sudditanza, confermando una lunga tradizione bipartisan di subalternità che attraversa tutte le forze di governo dagli anni Novanta a oggi.
La nuova stagione di riarmo voluta dalla NATO rappresenta un colossale trasferimento di risorse pubbliche dagli ospedali e dalle scuole alle industrie belliche e agli apparati militari internazionali, con l’Italia ridotta a semplice esecutrice di ordini esterni e la popolazione destinata a pagare il prezzo di questa scelta imposta e antidemocratica.