"Siamo una generazione con il fiatone, la mattina ci alziamo col nodo in gola e non sappiamo se è fame, se è stanchezza o se è solo l’ansia che ci ha dormito addosso tutta la notte". Sono le parole dure ma universalmente riconoscibili con cui l’ attore Lorenzo Zurzolo ha aperto il suo monologo a Le Iene.
Un intervento non solo personale ma l’ espressione di ciò che la nostra generazione vive costantemente, intrappolata nel grande paradosso della nostra era: essere la prima ad avere tutto a disposizione e sentirsi, proprio per questo inadeguati.
Zurzolo lo chiama l’ “oceano delle possibilità” : un’ immagine che dovrebbe evocare libertà , ma che in realtà genera angoscia. In un mondo dove ogni minuto siamo bombardati di stimoli e modelli di successo sui social media, l’ enorme libertà di scelta a volte diventa una trappola. L’oceano è talmente vasto - spiega l’attore- da farti “perdere la bussola”. Il problema sta nella tirannia di dover sfruttare tutte le possibilità subito. Sentirsi fuori rotta non è un opzione contemplata e l’alternativa percepita è restare immobili e affondare, oppure adottare tutti i ritmi tossici imposti da chi sembra “nuotare” perfettamente.
La pressione è così soffocante da lasciare i giovani in una perenne "apnea emotiva". L'ansia da prestazione non è solo un sintomo mentale, ma una condizione fisica descritta come una "camicia che ci hanno cucito addosso e ci hanno detto che ci sta benissimo". Questo è il cuore della critica di Zurzolo, che smaschera la sartoria sociale dell'invulnerabilità:
• Il peso delle aspettative: si deve "fare ciò che non sentiamo pur di non deludere". Siamo costretti a indossare l'armatura della competenza e dell'efficienza per non mostrare le fragilità, sentendoci "fuori tempo massimo a 25 anni" se non abbiamo già definito tutto.
• Il Peso del Senso di Colpa: il monologo punta il dito contro la cultura dell'iper-produttività: se provi a rallentare, a fare un passo indietro o semplicemente a riflettere, sei subito assalito da "sensi di colpa, sensi di ingratitudine". Chi ha così tanto, non può permettersi di essere stanco.
L'obbligo di "fare ciò che non sentiamo pur di non deludere" ha un effetto collaterale ancora più insidioso: l'apologia della stanchezza. In molti ambienti, il burnout non è visto come un sintomo di malattia, ma come una medaglia al valore. Ostentare le ore piccole, il pasto saltato, l'esaurimento cronico, diventa una prova della propria indispensabilità e produttività.
Questo rafforza l'idea tossica che rallentare sia sinonimo di pigrizia o debolezza. E chi osa fermarsi, sente subito il peso del senso di colpa e del giudizio. Tuttavia, i giovani stanno cercando vie d'uscita concrete dall'ideale dello "squalo". Tendenze come lo slow living o, più recentemente, il quiet quitting (il rifiuto di fare sforzi non retribuiti e di andare oltre il proprio mansionario) non sono semplici mode. Sono la prova che una parte della generazione sta dicendo: "Smettetela di cucirci addosso questa camicia stretta; il nostro valore non si misura in ore di straordinario non pagate, ma nel benessere." È il primo, coraggioso atto di disobbedienza contro la tirannia della performance.
Il mondo, secondo Zurzolo, offre solo due vie estreme: soccombere o diventare predatori. Ma è una falsa dicotomia, un cannibalismo morale da rifiutare: «La scelta non è tra diventare squali o andare a fondo». Propone invece una forma di resilienza autentica: essere onde. Le onde non sono macchine perfette: si "infrangono" contro gli ostacoli, ma poi si "ricompongono" e tornano. L'onda insegna che la vera forza risiede nel ritmo naturale del cedimento e della rinascita, non in una corsa perpetua in apnea. È l'elogio del tempo necessario per capirsi e per liberarsi dal giogo delle aspettative esterne.
Il messaggio finale è un invito alla liberazione personale: l'unica vera sfida è smettere di rincorrere il successo altrui per "dimostrare niente a nessuno se non a se stessi". Togliersi quella camicia stretta è il primo passo per smettere di essere una "generazione col fiatone".
Il monologo di Lorenzo Zurzolo non è un inno alla pigrizia, ma un atto di resistenza filosofica contro la "falsa urgenza" e l'ossessione per il risultato immediato. La "Generazione Ansia" ha il coraggio di affermare che il vero lusso oggi non è l'opportunità, ma la libertà di prendersi tempo per capire chi siamo. Riconoscere l'ansia, togliersi quella camicia stretta della perfezione e accettare di essere onde – con il loro ritmo di rottura e ricomposizione – è il primo e più difficile passo.
È l'atto di riscoprire l'antico valore dell'otium (il tempo dedicato al pensiero e alla crescita personale) contro il moderno negotium (il non-otium, ovvero l'ossessione per il lavoro incessante). L'ultima e definitiva liberazione, in un mondo che ci chiede costantemente di dimostrare, arriva solo quando si decide di non dover «dimostrare niente a nessuno se non a se stessi».
A cura di Chiara Ena