30 Oct, 2025 - 17:52

After The Hunt: Luca Guadagnino a lezione di filosofia

After The Hunt: Luca Guadagnino a lezione di filosofia

 

Come reagireste se veniste a sapere che un vostro caro, che sia un parente, un amico o un amante, è stato denunciato per stupro? Riuscireste a rimanere lucidi, scindendo l’affetto dalla possibile veridicità delle accuse? E a porte chiuse, lontani dallo sguardo degli altri, in tutta onestà lo stupro vi ripugna fino in fondo? Perché se per me è un discorso talmente delicato e insopportabile che solo a nominarlo mi ferisce con la forza di cento, mille frustate, è pur vero che se i casi di violenza sessuale sono giornalmente altissimi è chiaro che, a differenza di quel che molti dichiarano in pubblico, c’è una grande fetta di uomini, ma anche di donne, che della molestia non riescono proprio a riconoscerne il peso morale e umano. E non c’è pensiero al mondo che mi faccia più male.

Il regista palermitano Luca Guadagnino, mio amato conterraneo, a pochi mesi di distanza dall’uscita di Queer, l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di William S. Burroughs, nella sua ultima opera intitolata After the Hunt si è addentrato nell’argomento adottando un linguaggio filosofico. Alma Imhoff (Julia Roberts) è una stimata docente di filosofia presso la prestigiosa Università di Yale. Dopo una cena organizzata a casa sua, con collaboratori e studenti della facoltà, Hank Gibson (Andrew Garfield), collega e caro amico, verrà accusato di molestie sessuali da parte di Maggie Price (Eva Padoan), la miglior dottoranda della classe di Alma.

Se c’è una cosa certa è che Guadagnino nel cinema ha da sempre voluto esplorare l’universo del sesso, del desiderio carnale, della bramosia più cruda, ma anche il concetto comune di moralità, scavando a mani nude nel torbido con ingordigia insaziabile. In Bones and All addirittura attraverso il cannibalismo. Certo, se mi soffermo a pensare che a inizio carriera il suo secondo lungometraggio è stato Melissa P., film di una bruttezza devastante, mi pare impossibile. La sua crescita artistica, divenuta ormai nota a livello internazionale, è stata strabiliante ed è tuttora in promettente divenire.

In questo caso però, con After the Hunt ha fatto un passo a parer mio troppo pretenzioso. La pellicola comincia con i titoli iniziali scritti in carattere Windsor accompagnati da musica Jazz, proprio per rifarsi apertamente allo stile di Woody Allen. Guadagnino stesso ha dichiarato che la scelta è stata voluta e intenzionale, nonché di essersi ispirato a Crimini e Misfatti, Hannah e le sue sorelle e altre opere di Allen per lo stile narrativo. Il richiamo ha un duplice significato: il primo provocatorio, appunto per rimandare in modo implicito alle responsabilità morali di Allen nel campo delle molestie, e il secondo filosofico, volendo ricreare un gruppo di personaggi simili a quelli del regista, appartenenti a una borghesia medio-alta, immersi in conflitti interiori e relazioni intricate. E il problema a parer mio è appunto l’essersi allontanato dal suo stesso estro creativo per fare da specchio a un cinema che non è il suo. Difatti questo benedetto specchio mi è risultato decisamente appannato.

Pur non essendo un manifesto cinematografico del #MeToo, mi aspettavo un film sulla lotta femminile delle donne molestate che non vengono credute e invece mi sono ritrovata davanti una mostra dell’umano sudiciume interiore e delle sue sfaccettature più comuni. Alma è una donna borghese, con un marito borghese, un appartamento borghese e una vita borghese. È una radical chic che pasteggia a champagne discutendo di filosofia nel suo lussuoso salotto, indossando abiti realizzati in tessuto equosolidale costati un occhio della testa. Il perfetto ritratto dell’ipocrisia benestante. Ma sotto la brillante e luminosa scorza dal colore vivace di un frutto esteticamente perfetto, si nasconde una polpa aspra, amara, così acida da risultare indigesta e gli altri personaggi non sono affatto da meno. Nessuno, davvero nessuno, coinvolto in questa vicenda si salva.

Tra vigliaccheria, acrimonia, avidità e mancanza di spina dorsale si gioca una partita a scacchi su una nave che sta affondando, dove all’uno non importa dell’altro; l’unica cosa che conta è buttare giù tutti nel tentativo di rimanere a galla e di salvare solo se stessi. Una lenta lotta fra vermi che si avvinghiano mangiandosi l’un l’altro. Il primo tempo mi è piaciuto di più del secondo, da un certo punto in poi la narrazione si perde e va fuori focus. Non ho ben capito dov’è che volesse arrivare Guadagnino con questo film; forse, azzardo, a dimostrare che le donne non sono poi così vittime? Peccato, si poteva e si doveva fare di più. 3,3 stelle su 5.

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