06 Nov, 2025 - 09:22

La Nato conta i bossoli, la Russia conta le testate: Rutte si esalta per la produzione di munizioni

La Nato conta i bossoli, la Russia conta le testate: Rutte si esalta per la produzione di munizioni

C’è una nuova gara nel mondo occidentale, e no, non riguarda l’inflazione, la transizione verde o le elezioni americane. Stavolta è a chi produce più munizioni.

Mark Rutte, segretario generale della Nato, ha infatti annunciato con toni trionfali da Bucarest che l’Alleanza Atlantica “ha invertito la tendenza”: Mosca produceva più proiettili della Nato, ma ora – traaac – non più. Come se questa fosse la nuova misura dell’orgoglio occidentale.

La Nato si vanta delle cartucce

La scena è quasi comica: il pragmatico ex premier olandese, da sempre volto sorridente dell’Europa del compromesso, si trasforma in un venditore di cartucce entusiasta, vantandosi del successo nel nuovo sport geopolitico del 2025: la conta dei bossoli.

In un contesto globale dove il linguaggio diplomatico è ormai un genere estinto, Rutte decide di buttare tutto sul marketing bellico: quantità, quantità, quantità.

E pensare che fino a un paio d’anni fa, in Europa si parlava di riduzione delle spese militari, di “difesa comune europea”, di pace – concetti vintage ormai finiti nei musei insieme ai floppy disk e alle dichiarazioni di principio.

Oggi l’obiettivo non è più “fermare la guerra”, ma “produrre più proiettili del vicino”. Una strategia che, se applicata ai rapporti umani, finirebbe con l’intero condominio armato di fionde e molotov nel giro di un mese.

Chi ha più munizioni? Intanto Mosca ha l’arsenale nucleare pronto

Il punto non è che la Nato si rafforzi – in teoria è anche comprensibile. Il punto è l’entusiasmo infantile con cui Rutte racconta la corsa agli arsenali, come se stesse annunciando un record olimpico.

“Abbiamo aperto decine di nuove linee di produzione!”, proclama dal palco di Bucarest, mentre gli industriali della difesa in platea stappano champagne.

D’altra parte, quando la Nato si riunisce per parlare di pace, i produttori d’armi si annoiano; ma quando si parla di “linee di produzione” e “quantità fondamentale”, è subito standing ovation.

La realtà è che la frase “Mosca produceva più munizioni della Nato, ma ora non più” suona come un esercizio di comicità involontaria.

Da un lato, abbiamo un’alleanza di trenta nazioni, con un PIL complessivo di oltre 45 trilioni di dollari; dall’altro, un singolo Paese ex sovietico, con economia a metà strada tra guerra e sanzioni.

Se fino a ieri era la Russia a dominare nella produzione di artiglieria, ciò dice molto più sulla lentezza industriale dell’Occidente che sull’efficienza di Mosca.

Ma ciò che rende la dichiarazione di Rutte quasi tragicomica è il sottotesto: vantarsi della quantità di munizioni in un’epoca in cui la parola “nucleare” aleggia come una nuvola radioattiva su ogni conferenza di sicurezza internazionale.

È come se una formica si vantasse di portare più briciole di un elefante, dimenticando che l’elefante può calpestarla in un secondo.

Parlare di “più munizioni della Russia” quando la Russia possiede uno dei più vasti arsenali atomici del pianeta sfiora la comicità nera.

Quando l’Occidente si misura in bossoli

E allora sì, possiamo dormire tranquilli: l’Occidente ha finalmente risolto la crisi produttiva del secolo – quella delle cartucce – e può nuovamente sentirsi moralmente superiore.

Magari, nel prossimo forum, Rutte annuncerà la creazione di un campionato Nato per la “quantità di missili prodotti al minuto”, con relativa coppa da esporre accanto al Nobel per la pace dell’Alleanza.

Intanto, mentre gli stabilimenti si riaccendono e le fabbriche tornano a colare acciaio e polvere da sparo, qualcuno potrebbe chiedersi se non ci sia un limite all’ironia della storia: abbiamo chiuso le miniere di carbone in nome dell’ambiente, ma stiamo aprendo quelle di polvere da sparo in nome della sicurezza.

È il capitalismo 3.0 della guerra preventiva, dove ogni esplosione vale un punto percentuale di PIL.

Il nuovo Rutte versione segretario Nato sembra muoversi più come un amministratore delegato che come un mediatore internazionale. 

Forse è la logica dei tempi: chi produce più, comanda. Peccato che in questa gara a colpi di ordigni il premio finale non sia una medaglia, ma il rischio di un’escalation che nessuna “linea di produzione” potrà mai riparare.

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