Viktor Orban, premier ungherese, ha compiuto in questi giorni una mossa clamorosa che lo rilancia come abile negoziatore sulla scena internazionale: senza aspettare l’Unione Europea, è volato direttamente da Donald Trump a Washington e ha portato a casa ciò che Bruxelles — e molti governi del continente — hanno provato invano a ottenere per mesi.
Mentre tutti sanno che l’UE continua a firmare maxi-contratti sulle armi con le aziende statunitensi, rinunciando al tempo stesso a forniture energetiche russe — e comprando gas statunitense a prezzi più alti —, Orban è riuscito a ottenere per l’Ungheria l’esenzione dalle sanzioni americane su petrolio e gas russo, in cambio di nuovi accordi sulle armi e sull’energia nucleare con Washington.
Il faccia a faccia tra Orban e Trump è stato uno scambio diretto e pragmatico: da una parte, gli Stati Uniti incassano un contratto da 700 milioni di dollari per la vendita di armamenti alle forze armate di Budapest
Dall’altra, l’Ungheria ottiene un’esenzione di almeno un anno dalle sanzioni su gas e petrolio russi, garantendo così prezzi energetici tra i più bassi d’Europa per le famiglie ungheresi.
L’accordo comprende anche la fornitura di combustibile nucleare e la prospettiva di futuri investimenti energetici tra i due Paesi, in particolare per 12 mini-reattori modulari che potrebbero valere 20 miliardi di dollari.
Il presidente Trump ha motivato la decisione spiegando che l’Ungheria “non ha porti e non può facilmente diversificare le sue forniture”, giustificando quindi un trattamento diverso rispetto agli altri Paesi UE senza accesso diretto al mare.
Un endorsement senza precedenti per Orban, che in conferenza stampa non ha esitato a ringraziare Trump e a sottolineare come il tycoon newyorkese abbia “riaperto una nuova età dell’oro nei rapporti con Washington”.
Di fronte alla determinazione di Orban, l’Unione Europea resta impantanata in una doppia trappola.
Da una parte, Bruxelles rinnova e rafforza ormai da mesi i pacchetti di sanzioni contro Mosca (siamo al XIX round), criticando Budapest per la sua “vicinanza” al Cremlino.
Eppure, nel concreto, si ritrova costretta ad acquistare armi dagli Stati Uniti per sostenere la propria sicurezza e a importare gas liquido americano, pagandolo a caro prezzo in un mercato globale estremamente competitivo.
Al contrario, l’Ungheria — che da anni partecipa solo nominalmente al fronte anti-russo, limitandone l’impatto per la propria economia — si assicura energia più economica e si presenta all’elettorato interno come “difensore della convenienza energetica nazionale”.
In un solo viaggio, Orban ha dato prova di poter ottenere condizioni migliori direttamente dall’America, e soprattutto bypassando le mediazioni UE, confermando la sua linea sovranista.
L’accordo Trump-Orban non si limita solo alle esenzioni energetiche: previsti anche nuovi investimenti nel settore bellico e partnership strategiche su tecnologie nucleari e forniture di combustibile, mentre Budapest si impegna ad acquistare negli anni futuri anche gas naturale liquido dagli USA, ma senza rinunciare a quello russo, ora finalmente senza restrizioni.
Nel panorama internazionale, Trump ha lanciato la proposta di un vertice a tre con Orban e Putin a Budapest “per riaprire i canali di dialogo” con Mosca, commentando con toni critici le scelte dell’amministrazione Biden e ricordando agli altri Paesi europei che “chi ha porti e alternative non può permettersi di giudicare chi non le ha”.
L’operazione orchestrata da Orban e Trump rivela uno scenario grottesco: mentre l’UE resta prigioniera di una diplomazia “a senso unico”, che la costringe a comprare armi dagli USA e gas a prezzi esorbitanti dagli stessi americani, l’Ungheria rompe il fronte e ottiene la deroga alle restrizioni energetiche.
Orban, snobbando Von der Leyen e Macron, è riuscito a farsi ascoltare, e tornare a casa con qualcosa di concreto. Una foto di realpolitik che lascia Bruxelles nel ruolo di spettatrice e poliziotto delle regole, incapace di tutelare realmente gli interessi dei propri cittadini.
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