08 Nov, 2025 - 12:24

Il conto (salato) del PNRR: altro che regalo, Bruxelles ci presenta la fattura

Il conto (salato) del PNRR: altro che regalo, Bruxelles ci presenta la fattura

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in una recente dichiarazione che ha fatto il giro delle redazioni politiche ed economiche, ha finalmente sgomberato il campo da molte illusioni intorno al PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: «Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento poco sopra il 3%».

Un’affermazione tanto semplice quanto rivoluzionaria, in un contesto mediatico che per mesi aveva presentato le risorse europee come una sorta di pioggia di fondi a fondo perduto, priva di condizioni e costi occulti.

La verità, come spesso accade in economia, è molto più sfumata e dolorosa per le finanze pubbliche e le future generazioni di contribuenti italiani.​

Giorgetti “smonta” il mito dei soldi gratis

Per mesi si è parlato di una grande occasione, quasi di un banchetto cui l’Italia potesse accedere grazie alla flessibilità europea, ai famosi “soldi di Bruxelles”.

Ma la pragmatica verità si è palesata nelle parole di Giorgetti: i prestiti relativi al PNRR non solo vanno restituiti, ma portano anche con sé un tasso di interesse superiore al 3%.

La cifra fa riflettere soprattutto se paragonata alle condizioni che, almeno fino a pochi mesi fa, il Tesoro otteneva collocando titoli di Stato sui mercati: un costo simile, se non addirittura leggermente superiore.​

Cifre e scadenze: il bilancio aggiornato

Dati alla mano, la situazione appare tutt’altro che rosea. Dei 122,6 miliardi di euro inizialmente accordati all’Italia, ad oggi sono stati effettivamente incassati 104,6 miliardi, suddivisi in sette tranche a partire da aprile 2022.

L’ottava rata, se tutto andrà liscio dal punto di vista degli obiettivi raggiunti, potrebbe arrivare entro la fine dell’anno e portare il totale a 118 miliardi.

Ma il cammino non termina qui: la parte restante è infatti vincolata al conseguimento degli obiettivi collegati alla nona e decima rata, che dovranno essere richieste entro la scadenza tassativa del 31 agosto 2026.​

Il “mostro burocratico” europeo

Il ministro non si è trattenuto dal definire il meccanismo alla base del PNRR come un vero e proprio "mostro burocratico": regole, target, limiti di spesa e una costante supervisione da parte degli uffici comunitari e dei ministeri nazionali.

Un sistema che, sebbene nasca con l’obiettivo di garantire trasparenza ed efficacia nell’utilizzo dei fondi, ha finito per frenare la capacità di realizzazione dei progetti italiani e, di fatto, imbrigliato la libertà di manovra del governo.​

Un’occasione mancata?

Lo stesso Giorgetti non ha nascosto un certo rimpianto: «Il Mef avrebbe potuto fare meglio», ha ammesso il responsabile dell’Economia, riconoscendo implicitamente che una gestione diversa, magari più cauta o selettiva nell’accettare le condizioni imposte da Bruxelles, avrebbe forse limitato l’impatto negativo sul bilancio statale futuro.

Ma la scelta di legarsi a un meccanismo così rigido, seppur forzata dall’emergenza pandemica e dalle esigenze di ripresa, rischia ora di pesare per anni sulle casse pubbliche e sulle politiche economiche nazionali.​

Conseguenze per l’Italia

Le ripercussioni di questa strategia emergono drammaticamente nel dibattito parlamentare e tra gli analisti indipendenti: a fronte di un’iniezione di liquidità utile per l’economia post-Covid, l’Italia si trova ora legata a un debito che, oltre alle rate di restituzione, comporta un costo di servizio annuale significativo, destinato ad aumentare in caso di rialzi dei tassi europei.​

Il nodo PNRR, insomma, resta uno dei dossier più spinosi sulla scrivania del governo Meloni. All’orizzonte resta lo spettro di nuovi aggiustamenti, revisioni dei progetti, e una trattativa continua con la Commissione per tentare di salvare fondi senza compromettere la sostenibilità dei conti pubblici. Giorgetti, con la sua dichiarazione, ha almeno restituito al dibattito pubblico una dose necessaria di realismo:

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