09 Nov, 2025 - 10:04

Immigrazione benedetta: la CEI si aggiunge al coro della manodopera a basso costo "necessaria"

Immigrazione benedetta: la CEI si aggiunge al coro della manodopera a basso costo "necessaria"

La Chiesa Cattolica conferma l’impronta pragmaticamente filo-sistema che ormai la caratterizza nei rapporti con il fenomeno migratorio.

L’ultima dimostrazione arriva dalle dichiarazioni del cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI, intervistato a "Propaganda Live" e interpellato sulla necessità di manodopera straniera per evitare il collasso di servizi e città.​

Zuppi non ha esitato a definire l'immigrazione "necessaria”, ribadendo un messaggio che ormai da anni esce regolarmente dagli ambienti ecclesiastici e che solo in apparenza vuole suonare come filantropico.

La verità è che la Chiesa si allinea ormai quasi incondizionatamente alle esigenze di un sistema economico che ha fatto della manodopera precaria e di basso costo la base di un modello produttivo indebolito, segnato da denatalità e crisi sociale.​

Dai pulpiti a Confindustria: i nuovi "schiavi" necessari

Negli anni, i toni sono cambiati. Se prima l’appello era alla “carità” verso chi fugge da guerre e miseria, oggi il lessico si è fatto crudo: senza lavoratori immigrati, “le nostre città si bloccherebbero”, “mancano le braccia”, “nessuna alternativa”.

Una narrazione che fotografa perfettamente la realtà dei distretti della logistica, dell’agricoltura e dell’assistenza domiciliare, dove la presenza degli stranieri, spesso senza diritti e sottopagati, garantisce la sopravvivenza di interi segmenti dell’economia.​

Lo sfruttamento lavorativo degli immigrati non avviene casualmente. È il risultato di una scelta sistemica, coperta da un velo di “necessità” che serve a tranquillizzare la coscienza collettiva: serve manodopera straniera perché – con una popolazione italiana che invecchia – nessun giovane autoctono è più disposto ad accettare certe paghe e certe condizioni.

La Chiesa, anzichè denunciare davvero lo sfruttamento, lo legittima e lo sacralizza con la retorica dell’indispensabilità.​

Un’emergenza comoda per tutti

La narrazione dell’emergenza permanente serve da copertura ideologica a un mercato del lavoro segregato, in cui i migranti possono essere impiegati nei lavori più faticosi, insicuri e ingrati, spesso sotto la minaccia del ricatto del permesso di soggiorno.

Zuppi lo dice apertamente: “Dopo 25 anni non possiamo parlare ancora di emergenza, dobbiamo trovare risposte insieme per la qualità del lavoro e per la casa”. Ma nei fatti, proprio la non soluzione perpetua garantisce la presenza costante di manodopera “usa e getta” e che crea dumping salariale.

Chi pone il problema della sostituzione demografica viene bollato come razzista; chi segnala che il famoso “esercito di riserva” serve a tenere bassi i salari viene ignorato.

Invece, il meccanismo è noto e funzionale anche alle esigenze delle grandi associazioni di categoria e dei vescovi, che parlano di accoglienza mentre accettano condizioni di sfruttamento sistemico.​

La Chiesa e il dogma della convenienza

A ben vedere, la posizione della Chiesa sembra più dettata dal realismo economico che da autentica carità cristiana.

Se fosse vero amore per il prossimo, infatti, le istituzioni ecclesiastiche alzerebbero la voce per le condizioni in cui versano centinaia di migliaia di immigrati irregolari e regolari in Italia, schiacciati tra decreti legge inefficaci e il ricatto del lavoro nero.

Invece no: si preferisce legittimare la presenza straniera come “ossigeno” per le nostre imprese e come necessità sociale per l’Italia “che invecchia”.​

L’ideologia dello “straniero salvifico” copre la mancanza di coraggio politico ed economico nell’affrontare la realtà del lavoro in Italia – quella di salari fermi da decenni e di una produttività reale sempre più bassa. 

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