Fine aprile 2007. Nei cinema italiani veniva distribuito per la prima volta Number 23, un thriller suggestivo e maledettamente accattivante firmato da Joel Schumacher. L’ultima scena non credo che la dimenticherò mai, su uno sfondo nero appariva la scritta: “Be sure your sin will find you out.” (state sicuri che i vostri peccati vi raggiungeranno). La frase è tratta dalla Bibbia, dal Libro dei Numeri, capitolo 32, versetto 23. Ebbene, benché io sia atea, credendo da sempre nel destino e possedendo un forte senso di giustizia, quel 32:23 me lo sono tatuato sul gomito sinistro nel 2010. E assistendo alla proiezione di It Was Just an Accident, il nuovo film del cineasta iraniano Jafar Panahi, non ho potuto fare a meno di ripensarci.
Lungo una strada desertica, a tarda sera, un uomo si trova alla guida della sua auto, accompagnato dalla moglie incinta e da sua figlia, ancora piccola. Dopo aver accidentalmente investito e ucciso un povero cane randagio, l’uomo dovrà rivolgersi a un meccanico per far controllare la vettura. Ma per un caso fortuito, Vahid (Vahid Mobasseri), il proprietario dell’autofficina, riconoscerà nel passo dell’uomo il medesimo modo di camminare dell’ufficiale dei servizi segreti iraniani, che anni addietro l’aveva recluso e torturato in carcere, di cui però non aveva mai avuto occasione di vederne il viso scoperto. Eghbal, l’ufficiale, veniva chiamato gamba di legno, perché indossava una protesi al posto della gamba destra, che gli era stata amputata durante una battaglia in Siria. Vahid, convinto con assoluta certezza che quel passo zoppo appartenga proprio ad Eghbal, deciderà di rapirlo per vendicarsi. Ma un istante prima di seppellirlo vivo in una buca nel deserto, colpito da un improvviso dubbio che forse non si tratti del suo aguzzino, Vahid andrà alla ricerca di altri ex prigionieri che possano riconoscerlo.
Per chi non avesse mai sentito parlare di Jafar Panahi, mi tocca sottolineare che, oltre a essere uno splendido regista, egli rappresenta con orgoglio la resistenza intellettuale e artistica in contrapposizione al regime iraniano. Nato a Mianeh nel ’60, formatosi presso l’Istituto di cinema e televisione di Teheran, ha iniziato la sua carriera come assistente nel ’94 e ha girato il suo lungometraggio d’esordio nel 1995. Il Palloncino Bianco, pellicola drammatica, è stata pluripremiata in più festival, a partire da quello di Cannes, durante il quale ha ricevuto la Camera d’Or per la migliore opera prima. All’interno dei suoi film ha sempre mostrato con coraggio l’assetto culturale e sociale dell’Iran, soprattutto per quanto riguarda la condizione delle donne.
Proprio a causa di questo e delle criticità espresse nei suoi lungometraggi verso il governo iraniano, nel 2010 è stato condannato a 6 anni di reclusione e gli è stato imposto un divieto di vent’anni di girare opere, viaggiare o rilasciare interviste. Ciò nonostante, nel 2011 ha comunque girato un piccolo documentario casalingo, durante gli arresti domiciliari, chiamato This is Not a Film. Per presentarlo a Cannes, nella sezione Special Screening, ne è stata poi salvata una copia su una chiavetta USB, a sua volta nascosta dentro una torta, e affidata a terzi per viaggiare fino in Francia. Pur non potendo gareggiare ufficialmente, alla fine della proiezione, la pellicola ha ricevuto una standing ovation di dieci minuti.
Panahi in seguito ha deciso di non fermarsi e ha firmato altre quattro pellicole: Parde (2013), Taxi Teheran (2015), Tre Volti (2018) e Gli orsi non esistono (2022). A luglio 2022 è stato nuovamente arrestato dopo essersi recato in tribunale per chiedere notizie dei suoi due colleghi Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahmad, anch’essi incarcerati per questioni di censura artistica. L’accusa sarebbe stata quella di aver violato la pena del 2010. A febbraio 2023 è stato rilasciato dalla prigione di Evin. E dunque da uomo libero, dopo che il Tribunale rivoluzionario di Teheran ha fatto decadere il divieto di farlo lavorare come autore cinematografico e di viaggiare all’estero, intorno al 2024 ha iniziato le riprese di It Was Just an Accident, ma in segreto e senza che il governo ne approvasse la sceneggiatura. È stato presentato il 20 maggio 2025 al 78º Festival di Cannes, con la presenza di Panahi, al suo primo viaggio fuori dall’Iran dal 2010.
Benché parta all’apparenza come una storia di vendetta e di giustizia privata, man mano che la narrazione si sviluppa ci troviamo davanti al ritratto di un’umanità onesta, delle bellissime usanze e della grande generosità della comunità iraniana. Perché se è vero che il destino presto o tardi ti riporterà dinnanzi ai tuoi peccati e a coloro ai quali hai fatto del male, sarà sempre la coscienza individuale e la propria morale a determinare l’epilogo di una data situazione. Questo almeno è quel che sembra credere con convinzione Panahi, che del film ha anche scritto la sceneggiatura. Reduce da anni di repressione e di prigionia in uno Stato tanto amato quanto avverso, in definitiva il regista ci ha tenuto a sottolineare la differenza morale tra vittima e carnefice, pure quando i ruoli si invertono. E questo sottolinea di nuovo la sua commovente intelligenza emotiva e il suo spessore culturale e umano. Tra giustizia e vendetta, memoria del trauma, casualità e destino, dinnanzi a It Was Just an Accident si assiste a un bellissimo spettacolo di condivisione del dolore e della responsabilità comune. 4 stelle su 5.
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