Ritorna l’incubo del blocco degli impianti di riciclo della plastica. Un cortocircuito che investe direttamente l’economia verde e mette in crisi l’intera filiera del riciclo. Il fermo di molti impianti di trasformazione, segnalato da Assorimap, mina uno dei capitoli centrali della raccolta differenziata, con un retrogusto amaro di inefficienza e di mancata pianificazione che colpisce l’intero sistema. Il collasso del comparto rischia di impoverire un settore che impiega migliaia di addetti e rappresenta un pilastro della transizione ecologica.
Dietro la crisi si nasconde una anemia economica fatta di costi energetici elevati, concorrenza sleale delle importazioni extra-UE e difficoltà normative che rendono il “riciclo plastica impianti fermi” una delle emergenze ambientali e industriali più gravi del momento.
Il riciclo della plastica sembra sempre più vicino a un blocco strutturale. Il problema è serio: decine di aziende del comparto hanno sospeso la produzione, secondo quanto riportato dall’ANSA, per mancanza di commesse e sostenibilità economica. Nel frattempo si registra un’impennata dei costi di gestione, stimata in oltre il +30% nell’ultimo anno.
Sulla base delle informazioni disponibili, la vera perdita di competitività pare derivare dall’importazione di granuli plastici a basso costo provenienti dall’Asia, venduti a prezzi stracciati che rendono impossibile la concorrenza per le imprese italiane.
L’associazione di categoria Assorimap, che rappresenta i riciclatori di materie plastiche, ha denunciato una situazione di vera emergenza: “Gli impianti non si fermano per scelta di mercato, ma per sopravvivere alla concorrenza sleale”, affermano.
A tutto questo si aggiunge l’aumento del prezzo dell’energia e la mancanza di incentivi strutturali, elementi che pesano su un’economia circolare già fragile.
Come riporta Il Sole 24 Ore, questa è “una disfatta frutto di un gioco di squadra inefficace”: da una parte l’Europa spinge per ridurre la plastica vergine e rispettare gli obiettivi del Green Deal 2030, dall’altra l’Italia fatica a sostenere la propria filiera del riciclo.
Il Paese rischia di non riuscire a difendere un approccio sostenibile, perdendo l’equilibrio nella gestione della plastica già raccolta. I rallentamenti negli impianti non solo compromettono la qualità del materiale riciclato, ma generano un effetto domino: accumuli nei centri di selezione, maggiori costi logistici e oneri aggiuntivi per Comuni e consorzi responsabili della raccolta differenziata.
Secondo ISPRA, l’Italia ha raggiunto un tasso di raccolta differenziata superiore al 65%, ma i successi nella raccolta si scontrano con la carenza di infrastrutture di trasformazione, che rischia di trascinare a picco i risultati raggiunti.
Dal punto di vista normativo, il Decreto Legislativo 152/2006 (Testo Unico Ambientale) e il Pacchetto europeo sull’economia circolare (Direttiva UE 2018/851) fissano obiettivi ambiziosi di riciclo. Tuttavia, la realtà produttiva si allontana sempre più da quei traguardi.
Come osserva la rivista Ambiente in Salute, “con impianti fermi, la raccolta differenziata perde di senso e vanifica gli sforzi dei cittadini”.
Il messaggio è chiaro: la transizione ecologica non può reggersi solo sui comportamenti virtuosi dei cittadini, ma necessita di una filiera industriale funzionante, supportata da politiche stabili e da una strategia nazionale coerente.
L’assenza di una direzione chiara rischia di trasformare l’Italia da modello di riciclo a basso costo e apprezzato in Europa in un Paese esportatore di rifiuti. E a questo punto è legittimo chiedersi: quanto ci costerà davvero tutto questo?
Gli impianti fermi del riciclo non sono un’anomalia passeggera ma la fotografia di un sistema che necessita di interventi urgenti. Il meccanismo deve essere rivitalizzato attraverso incentivi e politiche di sostegno mirate.
Il comparto chiede al Governo misure concrete per rimettere in moto la filiera, tra cui:
agevolazioni fiscali e tariffarie per chi utilizza materiali riciclati nazionali;
stop alle importazioni a basso costo non conformi agli standard europei;
semplificazione autorizzativa per la costruzione di nuovi impianti e per l’aggiornamento tecnologico di quelli esistenti.
Assorimap propone inoltre l’istituzione di un fondo di compensazione per i riciclatori, analogo a quello previsto per le energie rinnovabili, che permetta di garantire continuità produttiva e salvaguardare posti di lavoro.
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