18 Dec, 2025 - 11:30

"C'Era una volta mia madre": al cinema la vera storia di Roland Perez e di sua madre Esther

"C'Era una volta mia madre": al cinema la vera storia di Roland Perez e di sua madre Esther

Quando nasci per ultimo in una famiglia già piena di bambini è molto facile che tu finisca per essere un po’ trascurato. L’esperienza genitoriale pregressa, soprattutto quella materna, fa sì che la maggior parte delle ansie vissute nelle prime gravidanze vengano soppiantate da una certa sicurezza, che a volte può risultare come noncuranza. A meno che tu non nasca con una patologia congenita o una malformazione grave, in questo caso, inevitabilmente, le carte si mescolano, sconvolgendo i piani, e da colui che era destinato a essere quasi trasparente divieni il figlio più protetto. Forse, come è giusto che sia. Ma il fatto di essere l’unico in famiglia a soffrire di un problema di salute invalidante, dopo ben cinque gravidanze andate tutte nel migliore dei modi, può far sì che una madre sviluppi un legame troppo stretto, ansiogeno, ossessivo, che tende a escludere chiunque al di fuori della bolla che si crea tra chi accudisce e chi viene accudito.

E questo è ciò di cui parla l’avvocato e speaker radiofonico francese Roland Perez nel suo libro autobiografico Ma mère, Dieu et Sylvie Vartan, pubblicato verso la fine del 2021, attraverso il racconto di sua madre e del loro rapporto bellissimo e opprimente al tempo stesso. Roland è nato a Parigi, nell’autunno del 1963, per la precisione il 15 ottobre, un martedì. Concepito da genitori tunisini trapiantati in Francia, ultimo di sei fratelli, è nato purtroppo con un piede equino. Già in fasce la diagnosi è stata immediata e tutti i medici sono stati concordi sul fatto che non appena avesse iniziato a camminare gli sarebbe stato indispensabile indossare un tutore, che avrebbe dovuto accompagnarlo a vita. La madre Esther però non si è mai rassegnata davvero a questa condanna che sembrava pendere implacabile sulla testa del figlio. Ebrea osservante, nei primi anni dell’esistenza di Roland ha pregato giorno e notte, durante qualunque tipo di attività quotidiana, che lui guarisse. Lo ha fatto visitare da centinaia di dottori. E nel frattempo, per non fargli indossare il tutore, anziché farlo camminare, lo ha portato in braccio ovunque. Proprio come una mamma canguro fa con i suoi cuccioli.

Questa unione, simile a quella dei marsupiali, contraddistinta da un ricorrente contatto epidermico e dalla necessità che aveva l’uno dell’altra per potersi spostare, ha fatto sì che Esther divenisse la barca sulla quale Roland navigava, giorno dopo giorno, in un mare sconosciuto e incerto. Ma come è facile che accada in un simile contesto, l’aver creato un legame materno di codipendenza ha tracciato il sentiero che ha garantito il facile veicolarsi di tutta una serie di comportamenti invadenti e controllanti da parte della mamma, che si sono poi protratti finanche nell’età adulta di Roland. E se di questo Perez nel libro ha parlato ampiamente in modo drammatico, nella pellicola C’era una volta mia madre, ispirata per l’appunto al libro sulla vita dello scrittore, l’argomento viene trattato come una nota tragicomica e divertente che si presta bene a una ricostruzione da commedia. Diretto dal regista canadese Ken Scott e girato in Francia, il film è stato distribuito nelle sale italiane a partire dal 4 dicembre 2025. 

Il lungometraggio si colloca al limite tra il biopic e il coming of age, perché fino all’ultimo non si capisce bene chi tra i due ruoli principali sia davvero il protagonista. E in questo aspetto C’era una volta mia madre è vincente, rendendo palese allo spettatore quanto Roland Perez e sua madre Esther fossero coesi sino a sembrare addirittura saldati insieme. Il ritratto di Esther Perez, per quanto un po’ romanzato, rappresenta una donna forte, intelligente, caparbia, cocciuta e dalla teatralità persuasiva, capace di mettere in ginocchio chiunque. La sua indole inarrestabile ha reso possibile la guarigione del figlio, sia nella finzione che nella realtà. Eh sì, perché Esther, quando Roland aveva solo cinque anni, ha trovato una guaritrice vedova che, avendo appreso le tecniche dal compianto marito, è riuscita, con metodi non ortodossi per la medicina, a far camminare il bambino con entrambi i piedi dritti. Le cure, al fine di raddrizzare il piede equino, hanno richiesto che Roland restasse immobilizzato a letto per un anno intero, durante il quale si è appassionato moltissimo alla cantante Sylvie Vartan e ai suoi brani musicali.

Se però nella vita vera di Perez la Vartan è rimasta pressoché una presenza simbolica, un idolo, poi incontrata da adulto nel contesto lavorativo, ma in maniera sobria e per nulla intima, nel film invece la collaborazione professionale diventa occasione per stringere un rapporto di vicinanza e affetto, seppur con rispettoso distacco. Tolte le piccole differenze tra la sceneggiatura e l’autobiografia, C’era una volta mia madre è una pellicola dolcissima, diretta in modo sapiente. La fotografia di pregio di Guillaume Schiffman richiama alla perfezione l’atmosfera pop degli anni ’60, con colori vivaci e sgargianti. Anche le scenografie contribuiscono attivamente a confezionare delle immagini esaltanti per la vista. Gli abiti di scena, dai toni accesi e vibranti, enfatizzano la bellezza dell’attrice francese di origini algerine Leïla Bekhti, che qui interpreta la parte di Esther Perez. Per quanto l’intero cast sia stato all’altezza dell’opera, la prova attoriale di Leïla Bekhti ha finito per spiccare su tutti, accaparrandosi la scena. Inoltre l’ho trovata di una bellezza magnetica. Da sottolineare anche la bravura del giovanissimo attore Naim Naji, che ha vestito i panni di Roland tra l’età di 5 e 7 anni, al suo primo ruolo da coprotagonista. Per C’era una volta mia madre, 3,8 stelle su 5.

 

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