Ci sono momenti in cui hai la sensazione di parlare una lingua che nessuno capisce davvero. Spieghi ciò che provi, scegli le parole con attenzione, cerchi di essere chiaro… eppure dall’altra parte arriva una risposta che non ti rappresenta.
La fatica di spiegarsi è una delle esperienze più comuni della vita adulta. E non riguarda solo la comunicazione, ma il modo in cui oggi viviamo le relazioni, le emozioni e le aspettative reciproche.
Viviamo in un flusso continuo di messaggi, vocali, email, post. Eppure molte persone condividono la stessa sensazione: “non mi sento davvero compreso”. Comunicare non significa entrare automaticamente in relazione. Le parole viaggiano veloci, ma le emozioni hanno bisogno di tempo, contesto e presenza. Un messaggio può essere letto senza tono, una frase può essere filtrata dalle paure dell’altro, un silenzio può sembrare un rifiuto. Così, invece di chiarire, spesso accumuliamo fraintendimenti.
Uno dei motivi principali per cui ci sentiamo fraintesi non è ciò che diciamo, ma ciò che l’altro si aspetta di sentire. Ascoltiamo attraverso i nostri filtri. Esperienze passate, ferite emotive, bisogni irrisolti influenzano il modo in cui interpretiamo le parole. Chi teme il giudizio sentirà un attacco anche dove non c’è. Chi ha paura di essere lasciato leggerà distanza dove c’è solo stanchezza.
Comunichiamo sempre dentro storie emotive già esistenti, non su un terreno neutro. L’illusione di essere capiti “da soli”. “Se mi conosce davvero capirà”. “E’ evidente cosa intendo”. Ma nessuno può leggere le nostre emozioni se non le rendiamo esplicite. E anche quando lo facciamo, l’altro potrebbe non avere gli strumenti per accoglierle.
Dire ciò che proviamo non è così naturale come crediamo. Molte persone non sono state educate a riconoscere le proprie emozioni, figuriamoci a comunicarle. Così, invece di dire “mi sono sentito escluso”, diciamo “non ti importa mai”. Il messaggio emotivo si perde, e resta solo il conflitto. A questo si aggiunge la paura di esporsi: spiegarsi significa mostrarsi vulnerabili, con il rischio di non essere capiti. Per difesa, scegliamo silenzi, allusioni, ironia. Ma ciò che non è chiaro lascia spazio all’interpretazione.
Il fraintendimento non è solo un problema di parole: è una ferita relazionale. Fa nascere frustrazione, solitudine, rabbia trattenuta. Col tempo può portare ad una rinuncia silenziosa, ed è lì che la distanza cresce davvero. Inoltre, dare un nome alle emozioni è importante. Tristezza, paura, delusione, bisogno di rassicurazione: quando restano implicite, vengono scambiate per altro. Nominare è un atto di chiarezza e di cura.
La fatica di spiegarsi non è un fallimento personale: è il segno di relazioni sempre più cariche di aspettative e fragilità. Sentirsi fraintesi fa male perché tutti abbiamo bisogno di essere visti per ciò che siamo davvero. Imparare a comunicare emotivamente non significa essere perfetti, ma più autentici. A volte non serve spiegarsi meglio. Serve spiegarsi con le persone giuste.
A cura di Francesca Labrozzi
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