Un editoriale di Marcello Veneziani ha scatenato un vero putiferio nel mondo politico e culturale del centrodestra. Le opinioni dell’intellettuale, contenute in un lungo pezzo pubblicato domenica su La Verità e dedicate alla premier e alla squadra di governo, hanno infatti irritato non poco il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, che ha replicato con un discorso al veleno durante un evento ufficiale alla Camera, provocando a sua volta la reazione di un altro giornalista tradizionalmente vicino all’area di centrodestra: Mario Giordano.
Per comprendere la vicenda, occorre partire dall’editoriale del giornalista e scrittore Marcello Veneziani, pubblicato domenica su La Verità. Il titolo anticipa già l’analisi: “Sotto Meloni c’è poco. La destra al governo non è ancora riuscita a cambiarci la vita”.
Nell’editoriale, Veneziani prova a tracciare un “bilancio onesto, realistico e ragionato” della situazione, adottando chiaramente il punto di vista di un intellettuale dell’area di destra. “Lo diciamo senza alcun piacere di dirlo”, afferma lo scrittore, “tutto è rimasto come prima, nel bene e nel male”.
Il riferimento riguarda la vita quotidiana dei cittadini, i grandi temi della politica estera, ma anche il “piano delle idee, della cultura, degli orientamenti televisivi”. Nessuna novità, secondo Veneziani, se non le “fisiologiche evoluzioni e involuzioni”.
Secondo Veneziani, ciò che davvero si salva in questi tre anni e mezzo di governo sono le abilità politiche della presidente del Consiglio, a cui l’intellettuale riconosce tanto la capacità di governare con “abilità, astuzia, prudenza” e il successo nell’affermarsi a “livello interno e internazionale”, quanto l’indubbio vantaggio derivante “dall’assenza di competitor adeguati e di alleati che potessero insidiare la sua leadership”.
Per il resto, lo scrittore descrive con piglio disincantato una situazione che, come nello sport, spinge a tifare per una parte o per l’altra, pur sapendo “che nulla cambia nella realtà”. Del resto, riconosce Veneziani, “non c’era nemmeno una classe dirigente adeguata alla sfida, in grado di poter cambiare veramente il corso delle cose”.
Forse è stato proprio il riferimento all’inadeguatezza della classe dirigente a scatenare la reazione del ministro Giuli che, nel corso di un evento alla Camera per la presentazione dei risultati di Ales, la società in house del Ministero della Cultura, ha attaccato frontalmente Marcello Veneziani.
“Consentitemi di esprimere una dose omeopatica di contravveleno nei confronti di chi, da sinistra o da una sempre più presunta destra, ha deciso di arruolarsi nel fronte del nemichettismo pur di negare la forza dei fatti e dei numeri”, ha esordito Giuli, accusando di fatto l’intellettuale di tradimento.
“Si rassereni”, ha poi concluso il ministro, “nel giorno in cui il nemichettismo dovesse espugnare Palazzo Chigi, il nostro ex consigliere Rai in quota AN sarà senz’altro premiato honoris causa. Sipario”.
Le parole tutt’altro che concilianti riservate a Veneziani da Giuli, a metà tra attacco personale – con velato fastidio per il ruolo rifiutato da Veneziani come ministro della Cultura – e accusa di tradimento, hanno a loro volta scatenato la reazione di Mario Giordano, sempre sulle pagine de La Verità.
“A volte senti parlare il ministro Giuli e ti chiedi che diavolo voglia dire. A volte, invece, purtroppo lo capisci benissimo”, esordisce il giornalista, sceso in campo a difendere l’opinione di Veneziani, attaccato dal ministro solo per “aver disertato dalla leva dei leccaculisti” con un articolo “educatamente critico”.
Un attacco, quello di Giuli, che Giordano riassume nel motto “credere, obbedire, purgare”, e che, secondo lui, spinge “verso la deriva dei folli, anzi dei folletti” la destra meloniana.
“Se si è ministri di un governo che ogni giorno si dichiara a favore del libero confronto”, aggiunge Giordano, “si dovrebbe ringraziare per il contributo critico e impegnarsi a fare meglio”.
“Non basta evidentemente tatuarsi un’aquila sul petto per dimostrare di saper volare alto”,scrive Giordano, individuando in questo episodio i sintomi del decadimento della destra al potere, incapace di tollerare anche le critiche più pacate. “A chi leccaculo? A noi!”, scandisce il giornalista, lasciando sul finale la stoccata sul merito, ricordando a Giuli “di essere diventato ministro dopo la caduta di Sangiuliano e dopo aver disseminato disastri al museo MAXXI, con -30% di biglietti venduti e -44% nelle sponsorizzazioni”.
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