La crisi Argentina continua ad aggravarsi. L'ultima stoccata, in questo senso, arrivata in questi giorni sono state le dimissioni del ministro dell’Economia argentino, Martín Guzmán. Una mossa che ha inasprito la già difficile situazione politica del paese già complicata dalla crisi economica e sociale in corso da tempo. Guzmán era vicino al presidente Alberto Fernández, peronista moderato, ed era stato invece criticato e ostacolato dall’area più radicale del governo guidata dalla vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner.
"Le dimissioni del ministro Guzmán svelano le lacerazioni interne al governo", ha detto al New York Times Eugenio Marí, economista della Fundación Libertad y Progreso. Il suo posto è stato preso da Silvina Batakis, vicina alla corrente kirchnerista, a conferma di come, in vista delle prossime elezioni del 2023, le preferenze si stiano spostando verso l'attuale vicepresidente e della sempre più evidente crisi Argentina.
Le dimissioni di Guzmàn erano arrivate tramite un post su Twitter, accompagnato da un documento di sette pagine, nel quale l'ormai ex ministro chiedeva che la scelta del suo successore avvenisse con un "accordo politico all’interno della coalizione di governo". Questo affinchè chiunque avesse preso il suo posto potesse avere quel margine di manovra su cui lui stesso non aveva potuto contare.
La crisi argentina e politica tra tra il presidente Fernández e la vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner era iniziata proprio a seguito di un accordo firmato dallo stesso Guzmàn con il Fondo Monetario Internazionale. Nel 2019 l’Argentina era andata tecnicamente in default a causa di un mancato pagamento di bond. Nel 2020, inoltre, l’economia argentina aveva risentito più di molte altre per la crisi provocata dalla pandemia da coronavirus: il PIL del paese era sceso di oltre l’11 per cento e il calo si era andato a sommare a quello degli anni precedenti.
Lo stesso Alberto Fernàndez si era ritrovato a gestire una doppia crisi, prima economica e poi anche pandemica, dovendo chiedere un prestito di 57 miliardi di dollari (circa 51 miliardi di euro) al Fondo Monetario Internazionale. A causa di un nuovo default nel maggio 2020, il Paese era stato costretto a stampare sempre più soldi, portando ad un aumento dell'inflazione. Tutto ciò portò ad una ristrutturazione del debito, sia con i privati che con lo stesso Fondo, il quale sospese la rata da 700 milioni di dollari e congelava i futuri pagamenti, in cambio della riduzione graduale, da parte dell’Argentina, del proprio rapporto tra deficit e PIL, dal 2,5 per cento attuale allo 0,9 per cento nel 2024.
Le dimissioni di Guzmán sono arrivate dopo quelle di inizio giugno del ministro per lo Sviluppo produttivo, Matías Kulfas, altro uomo vicino al presidente che aveva criticato la vicepresidente e che era stato sostituito dal peronista Daniel Scioli, vicino invece a Fernández de Kirchner. Una mossa che non ha fatto altro che far accrescere la crisi argentina.