Matteo Messina Denaro è stato imbarcato ieri sera in un aereo militare decollato con destinazione Pescara. Il boss è stato trasferito nel carcere delle Costarelle a L’Aquila prima di essere nuovamente spostato in un istituto penitenziario chiaramente sconosciuto dove sconterà la sua pena al 41 bis.
Si tratta di una disposizione contenuta nella legge Gozzini, varata nel 1986 in realtà con finalità principali diverse da quelle della lotta alla mafia. Mirava infatti soprattutto a una riforma delle norme riguardanti la detenzione in carcere, tra l’altro spingendo verso l’aspetto rieducativo. L’obiettivo è infatti impedire che il detenuto possa comunicare con altri soggetti, sia all’interno che all’esterno del carcere, per proseguire le attività criminose. Vi era però anche una disposizione che stabiliva condizioni particolari dure di carcerazione, il 41 bis, appunto, da applicare originariamente solo in caso di emergenza, come di rivolte carcerarie, che non erano mancate negli anni ’80.
Solo nel 1992, non a caso subito dopo la strage di Capaci, il Parlamento allargò la sua applicazione oltre l’immediata emergenza. In particolare a quei detenuti per mafia che per motivi di sicurezza non avrebbero dovuto avere contatti con l’esterno o con altri carcerati. Negli anni successivi la norma, di natura provvisoria, è stata prorogata fino a divenire permanente nel 2002, e a essere ulteriormente riformata nel 2009 con la previsione che il 41bis può essere applicato fino a 4 anni con proroghe di due anni.
In totale sono 759 le persone detenute al cosiddetto carcere duro. Sono sparsi in carceri con sezioni apposite in tutta Italia ma con una concentrazione massima all’Aquila, dove sono ben 152, e ad Opera, vicino a Milano, dove se ne contano 100, poi ci sono Sassari e Spoleto con rispettivamente 91 e 81 detenuti. È quanto emerge dall’ultima relazione sullo stato della giustizia italiana risalente al 2020. Sono 304 le persone alle quali è stata comminata la sentenza di ergastolo, tra questi solo per 204 si tratta di una sentenza definitiva.
Sono gli appartenenti alle principali organizzazioni mafiose a comporre la grande maggioranza dei sottoposti al 41 bis: 266 su 759, ovvero circa il 35%, appartengono alla camorra, che quanto a delitti negli ultimi anni ha sorpassato Cosa Nostra e ‘Ndrangheta che seguono con, rispettivamente, 203 e 210 affiliati.
Ci sono anche detenuti al carcere duro che non appartengono a mafia, camorra e ‘ndrangheta. Detenuti infatti membri della Sacra Corona Unita; di affiliati ad altre mafie siciliane; di esponenti della Stidda, sempre siciliana e di appartenenti ad altre cosche pugliesi. Presenti anche persone delle mafie lucane per quanto la Basilicata nel panorama del Sud è sempre stata piuttosto ai margini delle attività della criminalità organizzata.
Sono molto pochi ma sono presenti anche detenuti in regime di 41 bis per motivi di terrorismo, in particolare islamico. Il regime di detenzione applicato è dovuto al fatto che il 41 bis è stato nel tempo allargato ad altri tipi di reati, oltre a quelli di mafia come, appunto, il terrorismo internazionale. Si può comminare il 41 bis anche a condannati o sotto processo per sequestro di persona, violenza sessuale, prostituzione minorile o pedopornografia.
La condanna al 41 bis comporta l’isolamento dagli altri detenuti, anche nell’ora d’aria, la limitazione dei colloqui con i familiari: solo uno al mese, a intervalli regolari, della durata di un’ora, e dietro un vetro. Le autorità carcerare controllano la posta in uscita ed entrata salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia. È anche prevista una riduzione del numero e del tipo di oggetti che si possono detenere in cella, che è ovviamente singola. Al termine della pena i detenuti in regime di 41 bis possono accedere, se disoccupati, a un supporto psichiatrico e a un assegno di ricollocamento che dovrebbe servire per dare loro il tempo di reinserirsi attivamente nella società. Un supporto è previsto anche alle famiglie del detenuto per il tempo in cui questi è in carcere.
Vi sono stati diversi ricorsi contro il 41 bis nel corso degli anni, da parte di organizzazioni per i diritti umani. Una delle principali obiezioni, a parte quelle sulla durezza delle condizioni, è che venga usato per fare parlare e che possa condurre alla creazione di falsi pentiti. Certamente rimane uno degli strumenti che ha portato alla maggiore disarticolazione della criminalità organizzata, in particolare della mafia siciliana negli ultimi 30 anni.
Nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti ha visitato le carceri italiane per verificare le condizioni di detenzione dei soggetti sottoposti al regime. Ad avviso della delegazione, questa particolare fattispecie di regime detentivo era risultata il più duro tra tutti quelli presi in considerazione durante la visita ispettiva. La delegazione intravedeva nelle restrizioni gli estremi per definire i trattamenti come inumani e degradanti. I detenuti erano privati di tutti i programmi di attività e si trovavano, essenzialmente, tagliati fuori dal mondo esterno. La durata prolungata delle restrizioni provocava effetti dannosi che si traducevano in alterazioni delle facoltà sociali e mentali, spesso irreversibili.
Negli anni 2000 Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è stata varie volte chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità del 41-bis con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e non ha ritenuto la disciplina, in linea di principio, in contrasto con la suddetta Convenzione, ma ne ha censurato singoli contenuti e aspetti attuativi.
Nel 2003 Amnesty International ha sostenuto che il 41-bis equivale, in alcuni casi, a un trattamento del prigioniero "crudele, inumano e degradante".
Nel 2007 un giudice degli Stati Uniti ha negato l'estradizione del boss mafioso Rosario Gambino, poiché a suo avviso il 41-bis sarebbe assimilabile alla tortura.