Ennesima presa di posizione forte da parte della Cina sulla rivendicazione di Taiwan, per bocca del ministro degli Esteri Qin Gang. Sulla questione i rapporti con l'Occidente, e con gli Stati Uniti in particolare, sono ai ferri corti. Nessuna delle due potenze sembra però voler fare un passo in avanti: Pechino di recente ha assediato l'isola dispiegando buona parte del suo arsenale marittimo e aereo, Washington manifesta fisicamente la sua vicinanza al nodo Taipei.
L'occasione per ribadire la sovranità del Dragone sull'isola ribelle è il Lanting Forum di Shanghai, tappa che anticipa la visita di Qin nelle Filippine.
A tal proposito, Qin Gang è alle prese con le parole pronunciate dall'ambasciatore cinese a Manila sull'indipendenza di Taiwan.
Su questo punto torneremo sotto, prima riavvolgiamo il nastro sulle dichiarazioni dirette del ministro degli Esteri:
L'obiettivo, dichiarato, è quello di ricomporre l'ordine geopolitico del secondo Dopoguerra, frattura storica che separò Cina e Taiwan. Inoltre, altro punto che Pechino continua a ribadire è quello dell'azione giustificata, in quanto risponde al principio di la salvaguardia della sovranità nazionale e dell'integrità territoriale.
Lo status quo viene poi ritenuto "un modo per depotenziare la Cina e dividerla pacificamente". Ma questa volta l'affondo di Davide su Golia sarà efficace e definitivo, parola di Qin.
Ma torniamo al caso diplomatico avvenuto nelle Filippine. Tutto nasce dalle parole "sfortunate" pronunciate da parte dell'ambasciatore cinese Huang Xilian, che possono essere così riassunte:
Parole che hanno provocato una decisa insurrezione popolare, spingendo il presidente filippino Marcos a chiedere chiarimenti: