Un po' come in quella scena de "La messa è finita" di Nanni Moretti, in cui il sacerdote protagonista entra in un bar e, abbassate completamente le difese, annuncia di amare tutti i presenti. La scorsa settimana, la premier Giorgia Meloni è entrata sui propri canali social e, così, tutto a un tratto, ha annunciato all'Italia e (visto l'interesse dei media stranieri) al mondo la sua separazione da Andrea Giambruno. Qualcosa a cui questo Paese non era proprio abituato e che lascia da pensare soprattutto sul fronte della nuova frontiera della comunicazione politica. Tag24.it ne ha parlato con il professor Marino D'Amore, docente dell'Università "Niccolò Cusano", sociologo, criminologo e scrittore.
Professore, il premier canadese Justin Trudeau ad agosto, ora Giorgia Meloni. I leader mondiali spalancano la porta sulla propria vita privata via social. Cosa è cambiato nella comunicazione politica?
"È cambiato che i social sono diventati un imprescindibile strumento comunicativo e che il personaggio pubblico, rispetto al privato, deve rendere conto delle proprie azioni a una cerchia di persone. Non si dovrebbe tenere conto di certi aspetti, ma in un momento in cui l'esteriorizzazione del privato è palese, il personaggio pubblico deve prendere tempestivamente le contromisure. Deve sgombrare il campo dai dubbi".
E dalle speculazioni...
"Certo. Di solito certe precisazioni avvengono a livello di comunicati ufficiali che alla fine finiscono per non spiegare nulla, ma da quel momento si scatena la seconda fase".
Seconda fase?
"È quella che parte quando si ha l'ufficialità di quell'evento, dei motivi, delle circostanze e dei protagonisti coinvolti. È appunto l'esteriorizzazione del privato che ormai assurge a tematica importante e che, a volte, sovrasta tematiche che riguardano invece più da vicino i cittadini e per questo più rilevanti".
La premier pubblica foto della propria famiglia, ne racconta le vicende, ma poi chiede riservatezza. Non è un atteggiamento contraddittorio?
"Il politico cerca di pubblicare quelle foto che diano una sorta di ispirazione famigliare, per creare un ponte ulteriore con l'elettorato e la propria cerchia. Per rendersi simile agli altri: una persona con sentimenti, che ha una famiglia, una vita di relazioni. Allora provoca processi di immedesimazione in chi la segue. Specialmente in periodo elettorale crea così un avvicinamento e ciò è figlio di un altro fenomeno comunicativo che è la disintermediazione".
Nel senso che prima il personaggio pubblico era irraggiungibile e adesso non più?
"La distanza si è ridotta e c'è un contatto più diretto di prima, che porta con sé familiarità, immedesimazione, emulazione e soprattutto consenso. E lo fa su una scala potenzialmente illimitata che è data dalle nuove tecnologie, le quali sono sì invasive ma arrivano potenzialmente in luoghi sociali che prima erano preclusi a questi personaggi".
È d'accordo nel dire che la destra è più capace nella sinistra a utilizzare questo tipo di messaggi?
"Sono tecniche diverse. Secondo me, a livello di comunicazione, la sinistra resta legata a un mondo 'politichese', nel senso che cerca anche per vezzo il vocabolo aulico e alto che però resta incomprensibile alla maggior parte del pubblico. La regola principale della comunicazione è che, quando un messaggio non arriva al pubblico, la colpa non è del pubblico, piuttosto dell'emittente. Bisogna allora sempre trovare un codice che sia condiviso".
Dunque, a sinistra?
"In certa parte specialmente della sinistra questo aspetto manca. La destra arriverà pure a derive populiste che mirano cioè all'emozionalità del popolo, ma in altre situazioni c'è un linguaggio meno ricco, aulico, elzeviristico (come si diceva un tempo), cucito. È un messaggio diretto e comprensibile che aiuta nella scelta elettorale. La scelta dell'elettore diventa una conseguenza della strategia comunicativa che si sceglie di adottare".
Nel complesso, il politico, con i social, è migliorato o è peggiorato?
"Il politico va giudicato sulla competenza e sull'azione. Ossia su ciò che sa e ciò che fa. I social sono un arricchimento e possono essere vettore di vicinanza con gli altri, se corroborato però appunto da competenza e concretezza. Quando invece il social è palcoscenico su cui esibirsi, senza che vi siano le basi che reggono quell'esibizione, il tutto diventa esercizio di stile fine a se stesso e, come si suol dire, la velocità con cui si guadagna consenso è direttamente proporzionale alla velocità con cui se ne perde. Basta perdere un briciolo di credibilità e di legittimità che quel successo svanisce. Il tempo, con i cicli di vita dettati dalle tecnologie e da questa modernità fluida che viviamo, si restringe e quindi è più facile perdere popolarità. E non solo in politica".