Dall’omicidio di Meredith Kercher, passato alla storia con il nome di delitto di Perugia, sono già passati 16 anni. L’unica persona che i giudici hanno riconosciuto colpevole ha finito di scontare la pena a cui era stata condannata due anni fa. La vicenda giudiziaria che ha seguito il caso è però ben lungi dall’essere conclusa. E mentre in Italia sta per aprirsi un nuovo processo per calunnia a carico di Amanda Knox, c’è chi ancora è convinto che la donna, oggi 36enne, possa aver preso parte, insieme all’allora fidanzato Raffaele Sollecito, all’uccisione della studentessa inglese.
È la mattina del 2 novembre del 2007. Nel cortile dell’abitazione al civico 7 di via della Pergola, a Perugia, ci sono quattro persone: la studentessa americana Amanda Knox, il fidanzato Raffaele Sollecito e due agenti della polizia postale giunti su segnalazione della vicina di casa, che in giardino, poco prima, aveva trovato due telefoni cellulari appartenenti a Meredith Kercher, una delle ragazze che abitavano nello stabile, arrivata in Italia da pochi mesi per prendere parte a un programma di studi Erasmus.
Sono tutti in attesa che arrivino i carabinieri, chiamati da Knox e Sollecito che, rincasando dopo aver trascorso la notte da lui (avevano guardato Il favoloso mondo di Amélie dopo aver fumato della marijuana), avevano trovato una finestra rotta e la porta d’ingresso spalancata, come se qualcuno fosse entrato alla scordata e fosse poi scappato via di fretta. Di Meredith, Mez, come la chiamano gli amici, neanche l’ombra.
Più volte i presenti provano ad urlare il suo nome, senza successo. Quando qualcuno decide, finalmente, di sfondare la porta della sua camera da letto, apparentemente chiusa dall’interno, tutto appare, improvvisamente, chiaro: il corpo della 21enne giace senza vita sul pavimento, avvolto da una coperta. Tutt’intorno ci sono copiose tracce di sangue.
Il medico-legale incaricato di effettuare l’autopsia sul corpo della giovane stabilisce che è morta a distanza di non più di due-tre ore dall’ultimo pasto, la sera del primo novembre. La causa del decesso viene rinviata a un’emorragia carotidea. In pratica, secondo l’esperto, Meredith sarebbe stata accoltellata alla gola. Prima il suo assassino l’avrebbe violentata sessualmente.
I primi sospetti si concentrano su coloro che le erano vicini, in particolare sulla coinquilina Amanda Knox e sul fidanzato, che negli attimi immediatamente successivi alla scoperta del cadavere della 21enne si erano comportati in modo strano, scambiandosi effusioni e sorrisi e venendo addirittura immortalati a fare shopping in un negozio di intimo.
La sensazione generale è che non si rendano conto della gravità della situazione. Il 5 novembre, quattro giorni dopo l’omicidio di Meredith, entrambi vengono portati in caserma, dove a lungo vengono interrogati, senza la presenza di avvocati e senza essere registrati (una circostanza che dalla Procura cercheranno di giustificare sostenendo di averli ascoltati come persone informate sui fatti e non indagate).
Davanti agli inquirenti Amanda Knox, evidentemente sotto stress, mette in mezzo per la prima volta il titolare del bar in cui lavora, un certo Patrick Lumumba: sostiene che l’uomo, di origini congolesi, fosse sulla scena del crimine al momento dei fatti, lasciando intendere però che ci fosse anche lei.
Il giorno successivo, in una lettera scritta in inglese, la ragazza ritratta tutto.
scrive, sostenendo di essere stata spinta a parlare dagli interpreti, appartenenti alla stessa questura di Perugia. La verità è che non sono sicura della verità, aggiunge, spiegando di aver raccontato in modo confuso i dettagli di un sogno macabro fatto qualche sera prima e non la dinamica dei fatti che avevano portato alla morte di Meredith.
Nel corso degli accertamenti tecnico-scientifici delle tracce della 20enne e del fidanzato vengono però trovate sul manico di un coltello da cucina e sul gancetto di un reggiseno della vittima, incastrandoli. Gli inquirenti si convincono che entrambi siano coinvolti, in qualche modo, nella vicenda.
Dopo quattordici giorni di ingiusta detenzione Lumumba viene prosciolto da ogni accusa (e Knox condannata a tre anni per calunnia): gli inquirenti scoprono non solo che nella casa di via della Pergola non ci sono sue tracce, ma anche che ha un alibi (la sera dell’omicidio era al pub con un suo amico e cliente).
Il 6 novembre intanto Knox e Sollecito erano stati trasferiti in carcere. E un altro uomo aveva fatto capolino nella vicenda: il cittadino ivoriano Rudy Guede, che sarebbe stato l’unico ad essere condannato. In molti pensano che quando alcuni testimoni riferirono di aver visto un uomo di colore aggirarsi nei pressi dell’abitazione delle studentesse ce l’avessero con lui e non con Lumumba, come si era pensato all’inizio.
Ad incastrarlo sono delle tracce genetiche rinvenute sulla scena del crimine. Quando viene individuato e rintracciato si trova in Germania, cosa che non fa che aumentare i sospetti contro di lui.
Presto Guede, Knox e Sollecito finiscono a processo. Solo il primo sceglie il rito abbreviato. Stando alla tesi avanzata dalle difese degli altri due, l’uomo si sarebbe introdotto nell’abitazione di via della Pergola per commettere un furto, imbattendosi nella studentessa, violentandola e uccidendola.
Una tesi diversa rispetto a quella avanzata dai suoi legali, secondo cui si sarebbe recato da Meredith perché era stata lei ad invitarlo, per fini sessuali. Nel corso della serata, mentre lui era in bagno, qualcuno si sarebbe poi intrufolato in casa e avrebbe aggredito la giovane, senza che lui trovasse il coraggio di intervenire in sua difesa.
L’uomo si dichiara innocente, puntando il dito contro gli altri due. Alla fine viene condannato a 16 anni di reclusione per omicidio in concorso con ignoti. Knox e Sollecito, dopo essere stati condannati in primo grado, vengono infatti assolti. Il presidente della Corte d’appello Claudio Pratillo Hellmann parla di un’indagine del tutto lacunosa e sbagliata.
Il riferimento è, tra le altre cose, alle prove raccolte a carico dei due, rivelatesi del tutto insussistenti perché acquisite parecchi giorni dopo i fatti e con modalità discutibili. La vicenda giudiziaria che li coinvolge è però lunga e tortuosa. La Corte di Cassazione nel 2013 annulla infatti la sentenza di assoluzione emessa in loro favore, rinviandoli in appello.
Alla fine del processo d’appello bis sia Knox che Sollecito ricevono una nuova condanna, che in Cassazione viene annullata di nuovo, questa volta senza rinvio. È il 2015. Knox e Sollecito sono definitivamente liberi. Nelle motivazioni i giudici parlano di clamorose défaillances e amnesie investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine. E spiegano che se le indagini fossero state condotte diversamente sarebbe stato con ogni probabilità consentito, sin da subito, delineare un quadro, se non di certezza, quanto meno di tranquillante affidabilità, nella prospettiva vuoi della colpevolezza vuoi dell’estraneità dei due imputati.
Ciò che le parole dei giudici sottintendono è che a una verità non si è mai arrivati, almeno non del tutto. Dopo 16 anni sono ancora tanti, infatti, i misteri che avvolgono il cosiddetto delitto di Perugia. Dopo essere tornato in libertà, due anni fa, Rudy Guede si è costruito una nuova vita a Viterbo. Di recente è stato denunciato per maltrattamenti dall’ex compagna.
Raffaele Sollecito si occupa ancora di informatica, lavorando come consulente per diverse ditte, soprattutto all’estero. Amanda Knox è tornata a Seattle e si è fatta una famiglia. Nel 2024 prenderà il via il nuovo processo per calunnia a suo carico. Sulla sua innocenza e su quella del suo ex fidanzato, a distanza di tanti anni, c’è chi ancora, nonostante l’assoluzione giudiziaria, nutre dei dubbi.
Ne parlava Fabio Camillacci in una vecchia puntata di "Crimini e Criminologia", il programma che va in onda tutte le domeniche dalle 21.30 alle 23.30 su Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre).