Sono cinque gli haters che andranno a processo a Bologna per aver offeso la memoria di Alessandra Matteuzzi, la 56enne uccisa a martellate, calci, pugni e colpi di panchina dall'ex fidanzato 26enne Giovanni Padovani il 23 agosto del 2022: sono accusati di averle rivolto critiche e insulti sui social.
La denuncia era partita dai familiari della vittima, assistiti dagli avvocati Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini, che sui social avevano notato diversi post e commenti contro la 56enne uccisa dall'ex fidanzato a Bologna. Post e commenti che contenevano insulti e critiche gratuiti, con la donna che veniva definita "deviata", "ridicola e finta" e quasi incolpata della sua morte perché "poco seria" da persone che neanche la conoscevano.
In cinque, alla fine, andranno a processo con l'accusa di diffamazione aggravata. Si tratta, secondo Il Resto del Carlino, di due uomini e tre donne di età compresa tra i 26 e i 66 anni, tra cui l’ex direttore della Croce Bianca di Ferrara, Donatello Alberti, assistito dall'avvocata Gisella Rossi. La prima udienza nei loro confronti si terrà il prossimo 25 gennaio.
Per lunedì 20 gennaio è attesa, invece, la penultima udienza del processo a carico del killer reo confesso di Alessandra, Giovanni Padovani, per il quale la Procura ha già chiesto l'ergastolo: sarà la volta della discussione della difesa e delle parti civili. Poi, nell'udienza successiva, i giudici pronunceranno la sentenza di primo grado.
I fatti per i quali l'ex calciatore è imputato risalgono all'agosto del 2022. Aveva 26 anni e da poco era stato sottoposto a un divieto di avvicinamento nei confronti dell'ex fidanzata 56enne, che l'aveva denunciato per stalking a causa dei suoi comportamenti molesti, quando la uccise sotto la sua abitazione di via dell'Arcoveggio, a Bologna, davanti agli occhi di diversi testimoni.
Si erano lasciati dopo una relazione abbastanza travagliata, da molti definita "tossica", fatta di tira e molla e litigi continui, molti dei quali causati dall'eccessiva gelosia di lui, che della donna era ossessionato. Lei era arrivata ad averne paura, confessando alla madre di "non voler morire", come se si aspettasse che da un momento all'altro il 26enne avrebbe potuto farle del male.
Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, il 27 agosto di due anni fa, dopo aver atteso che rincasasse, mentre era al telefono con la sorella Padovani l'aveva avvicinata e colpita con inaudita ferocia con un martello e una panchina, prendendola a calci e pugni fin quando non era stato fermato da un residente, sceso a controllare se la donna stesse bene dopo aver sentito le sue urla. Poco dopo sarebbe morta a causa del grave trauma cranico riportato.
È stato l'uomo intervenuto a raccontare che, anche mentre lei era a terra, Padovani avrebbe continuato ad urlarle contro di averlo tradito, prima di tornare a colpirla. I suoi avvocati avevano chiesto di sottoporlo a una perizia psichiatrica, sostenendo che al momento dei fatti non fosse capace di intendere e di volere.
Secondo gli esperti che l'hanno visitato, non solo agì avendo premeditato il delitto, lucido e consapevole di cio che stava facendo (non fermandosi quando ne avrebbe avuto l'opportunità), ma avrebbe anche tentato di esagerare "i sintomi legati a patalogie mentali", forse nel tentativo di ottenere uno sconto di pena.
Rischia la più grave delle condanne: l'ergastolo. Significa che potrebbe trascorrere in carcere il resto della sua vita. In aula più volte ha sostenuto di "essere malato" e di aver bisogno di cure. Per ben tre volte ha tentato il suicidio, l'ultima ingerendo del detersivo.