Erba, Avetrana, Perugia. C’è un filo che lega queste città, rendendole riconoscibili agli occhi di chi legge: tutte sono state teatro di delitti efferati. La strage di Erba, l’omicidio di Avetrana, il delitto di Perugia. Casi di omicidio che hanno sconvolto l’opinione pubblica, come quello di Chiara Poggi, salito alla ribalta delle cronache con il nome di delitto di Garlasco. Per raccontarlo dobbiamo tornare al 13 agosto 2007.
Chiara Poggi aveva 26 anni ed era una ragazza seria e determinata. Dopo la laurea aveva trovato un impiego nell’ufficio contabilità della Sm di Garlasco, a Pavia, dove viveva con i genitori Giuseppe e Rita e il fratello Marco, iscritto a un istituto tecnico; poi si era spostata alla Computer Sharing di Milano, che aveva la sua sede principale a poca distanza dall’università frequentata dal fidanzato Alberto Stasi.
Lui aveva 24 anni, studiava economia. Stavano insieme da due quando, il 13 agosto 2007, la giovane, rimasta sola in casa mentre i suoi familiari erano in montagna per le vacanze, aprì la porta dell’abitazione a qualcuno che la colpì alla testa con un oggetto contundente, forse un martello, fracassandole il cranio.
Poi la stessa persona ne gettò il corpo sulle scale che conducevano alla tavernetta dell’abitazione. A dare l’allarme, chiamando il 118, alle 13.49 di quel giorno d’estate, fu proprio Alberto Stasi.
disse all’operatore che gli rispose al telefono, sostenendo di essere andato a controllare se Chiara stesse bene perché non riusciva a mettersi in contatto con lei e di aver trovato, una volta arrivato, il portone aperto. Dentro c’era il suo cadavere. Spaventato, era corso via e aveva sporto denuncia.
I sospetti si concentrarono subito sul ragazzo. Le sue scarpe, analizzate, non presentavano, infatti, tracce di sangue. Se era vero che aveva attraversato l’ingresso insanguinato di casa Poggi, perlopiù correndo, come aveva fatto a non sporcarsi? E come era possibile che non ci fossero macchie neanche sul tappetino dell’auto che aveva detto di usare per recarsi dalla fidanzata?
Una volta interrogato, nel tentare di raccontare ciò che aveva fatto, sostenendo di aver evitato le pozze di sangue, si contraddisse più volte, venendo arrestato. Era il 24 settembre 2007. Quattro giorni più tardi il gip che avrebbe dovuto convalidarne il fermo decise di rilasciarlo per insufficienza di prove. Stasi del resto aveva un alibi: come dimostrò una perizia effettuata sul suo computer, tra le 9.35 e le 12.20 del 13 agosto aveva lavorato alla sua tesi di laurea.
Chiara però aveva disattivato l’antifurto dell’abitazione alle 9.12. Stando alle ricostruzioni, il 24enne avrebbe avuto una finestra di 23 minuti, tra le 9.12 e le 9.35, per aggredirla a morte, tornare a casa, cambiarsi i vestiti e le scarpe sporchi di sangue e mettersi a lavoro.
Ad incastrarlo c’erano anche altri dettagli. Analizzando la scena del crimine gli investigatori erano riusciti a risalire al numero di scarpe indossato dall’assassino di Chiara: il 42. Lo stesso di Stasi. Impronte del suo anulare destro furono poi trovate sul dispenser del sapone del bagno al piano terra dell’abitazione della vittima.
Oltre alle sue ce ne erano anche di Chiara. Nessuna, invece, dei restanti familiari, come se il lavandino e gli oggetti che c’erano sopra fossero stati accuratamente lavati. Poi c’era la questione della bici nera che due vicini di casa della famiglia Poggi avevano detto di aver visto appoggiata al muro di cinta della villetta attorno alle 9.30 del giorno dell’omicidio.
Perlustrando l’abitazione di Stasi gli investigatori ne avevano trovata una simile, da donna: era di marca Luxury, ma montava pedali Union, gli stessi della Umberto Dei di colore bordeaux che usava abitualmente e che gli era stata sequestrata, che montava dei pedali non originali Wellgo con tracce di Chiara. Si pensò che il giovane potesse averli scambiati per confondere le prove dopo aver ucciso la giovane.
Anche perché Chiara non si era difesa: probabilmente si fidava di chi aveva davanti. Del resto gli aveva aperto la porta di casa pur essendo in pigiama: con uno sconosciuto non l’avrebbe fatto. Si pensò, in particolare, che i due potessero aver avuto una lite a causa del materiale pedopornografico che a quanto pare lui teneva nascosto in una cartella del suo pc. Fatto per cui, più avanti, sarebbe stato scagionato.
Finito a processo, Alberto Stasi fu assolto sia in primo che in secondo grado per non aver commesso il fatto. Nell’aprile del 2013 la Corte di Cassazione stabilì che fosse difficile pervenire a un risultato, di assoluzione o di condanna, contrassegnato da coerenza, credibilità e ragionevolezza e quindi impossibile condannare o assolvere l’imputato, ma decise comunque di annullare la precedente sentenza con rinvio, ordinando degli specifici esami su un capello castano chiaro e altri residui di Dna rinvenuti sul corpo della ragazza, repertati e mai analizzati.
Il processo d’Appello-bis si tenne tra il 9 aprile e il 17 dicembre del 2014 e si concluse con la condanna a 24 anni di Alberto Stasi, che avendo richiesto il rito abbreviato ottenne, però, uno sconto di un terzo della pena, che di conseguenza scese a 16 anni, diventando definitiva nel dicembre 2015. Nelle motivazioni furono citati tutti gli elementi di colpevolezza raccolti nel tempo a suo carico. I giudici parlarono di un movente di rabbia, accettando l’ipotesi accusatoria secondo la quale Stasi non era entrato nella villetta prima di dare l’allarme (e quindi non si era sporcato) perché già a conoscenza del delitto, avendolo commesso.
A quasi 17 anni dai fatti dei quali è stato riconosciuto colpevole, Stasi, che nel frattempo ha spento la sua quarantesima candelina, continua a proclamarsi innocente. Di recente il tribunale di sorveglianza ha accolto la sua richiesta di lavoro esterno: ogni giorno esce dal carcere con rigide prescrizioni su orari ed itinerari da seguire per fare il contabile. Nelle motivazioni con cui gli è stata accordata questa possibilità si legge che i giudici confidano che la riattivazione dei contatti con l’esterno e del gestire relazioni lavorative e personali possa favorire, da parte sua, un più profondo scavo psicologico.
Si è parlato di lui e dell’omicidio di cui si è macchiato in una vecchia puntata di Crimini e criminologia su Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre).