Coloro che progettano, dopo aver raggiunto l'età pensionabile, di reinserirsi nel contesto lavorativo dell'azienda, intraprendere un'attività di consulenza o avviare una piccola impresa si trovano spesso ad affrontare un dilemma: Posso farlo senza rinunciare alla mia pensione?
La risposta non è standard in quanto dipende dal tipo di regime pensionistico ottenuto, ma in linea generale la risposta è positiva. Grazie all'emanazione del decreto legge 112/2008 attualmente non esistono più limitazioni al cumulo dei redditi con la pensione di vecchiaia, di anzianità o anticipata. Tuttavia, alcuni vincoli persistono, seppur in maniera parziale, per quanto riguarda le pensioni e gli assegni di invalidità entro certi limiti di reddito. Esaminiamo dunque la situazione nel 2024.
Dal 1° gennaio 2009 i redditi da lavoro, sia autonomo che dipendente, possono essere cumulati integralmente con la pensione di vecchiaia, quella anticipata e quella di anzianità (ex), erogate tramite il sistema misto o retributivo, ovvero per gli assicurati con contributi versati entro il 31 dicembre 1995.
Per quanto riguarda le prestazioni derivanti dal sistema contributivo, quindi per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 (sistema puramente contributivo), il cumulo della pensione con i redditi da lavoro è possibile a patto che siano soddisfatte almeno una delle seguenti condizioni:
Questi requisiti garantiscono, nella maggior parte dei casi, la completa cumulabilità dei trattamenti pensionistici con i redditi da lavoro, anche per le prestazioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo.
Resta però incerto il caso delle donne. Nella fretta di promulgare la normativa, il legislatore ha omesso di chiarire la situazione riguardante il cumulo tra lavoro e pensione per le donne che scelgono la pensione ottenuta tramite il sistema contributivo, le quali possono raggiungere tale trattamento con 58 anni di età e 35 di contributi, requisiti inferiori a quelli precedentemente indicati. Una lettura rigida della legge potrebbe portare a concludere che tali lavoratrici non possono cumulare la pensione con il reddito da lavoro.
Tuttavia, è importante sottolineare che la pensione ottenuta tramite le regole del regime sperimentale non rientra nella categoria delle pensioni del regime contributivo puro, come stabilito dalla Riforma Dini del 1995. Pertanto, una valutazione logica e sistematica della normativa dovrebbe indicare che tale pensione è comunque cumulabile con altri redditi da lavoro dipendente e autonomo.
Il Decreto Legge 4/2019, articolo 14, comma 3, ha introdotto la pensione "Quota 100", successivamente modificata in "Quota 102" nel 2022 e "Quota 103" nel 2023-2024. Questo decreto ha stabilito che, in deroga alla normativa esistente, tale pensione non può essere cumulata con redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale fino a un massimo di 5.000 Euro lordi all'anno (Circolare INPS 117/2019).
Questa restrizione si applica dal momento in cui la pensione diventa effettiva fino al raggiungimento dell'età anagrafica richiesta per la pensione di vecchiaia (attualmente fissata a 67 anni). Durante questo periodo, se si percepiscono redditi, la pensione viene sospesa per l'anno in cui sono stati guadagnati i redditi e per i mesi precedenti il raggiungimento dell'età richiesta per la pensione di vecchiaia. A tale scopo, i beneficiari devono presentare una dichiarazione all'INPS attestante l'assenza di redditi che comportino la sospensione della pensione, utilizzando il cosiddetto modello AP 140.
Impiegati del settore privato e lavoratori autonomi che ricevono l'assegno ordinario di invalidità potrebbero vederlo ridotto se il loro reddito supera determinati livelli. A partire dal 1995, se il beneficiario dell'assegno ordinario di invalidità continua a lavorare come dipendente, autonomo o imprenditore e il reddito da queste attività supera 4 volte l'importo del trattamento minimo annuo, l'assegno viene tagliato del 25%. Se il reddito supera 5 volte l'importo del trattamento minimo annuo, la riduzione è del 50%.
Vi è anche una seconda riduzione. Se nonostante la prima riduzione, l'assegno supera ancora il trattamento minimo e l'anzianità contributiva è inferiore a 40 anni, una parte eccedente può essere ulteriormente tagliata. Questo taglio varia a seconda se il reddito proviene da lavoro dipendente o autonomo.
Nel primo caso, la riduzione è del 50% della parte eccedente il trattamento minimo, fino al limite del reddito stesso; nel caso di redditi da lavoro autonomo, la riduzione è del 30% della parte eccedente il trattamento minimo, fino a un massimo del 30% del reddito prodotto (articolo 72, comma 1 della legge 388/2000).
La riduzione non si applica per i redditi da lavoro dipendente inferiori al trattamento minimo INPS, o se il lavoratore è impiegato in contratti a termine di durata inferiore a 50 giorni all'anno solare o per redditi derivanti da attività socialmente utili promosse da enti locali e altre istituzioni (articolo 10, Dlgs 503/1992; Circolare INPS 197/2003).
Altre forme di invalidità, come quelle fornite da fondi sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria con requisiti differenti rispetto all'assegno ordinario di invalidità, o per i dipendenti pubblici con trattamenti pensionistici privilegiati, subiscono solo la seconda riduzione se l'anzianità contributiva è inferiore a 40 anni, poiché le norme relative all'assegno ordinario di invalidità non si applicano.
La detrazione viene applicata in vari modi:
Per coloro che ricevono una pensione d'invalidità secondo quanto stabilito dalla legge 335/1995, è vietato svolgere qualsiasi forma di lavoro dipendente o autonomo. Poiché questa pensione è concessa a coloro che sono assolutamente incapaci di svolgere qualsiasi forma di lavoro, non è possibile percepire questa prestazione mentre si lavora come dipendente o autonomo. Ricevere questa pensione comporta l'obbligo di essere cancellati dagli elenchi, registri o ordini relativi a qualsiasi professione o attività.
Per quanto riguarda il cumulo dei redditi da lavoro con le pensioni ai superstiti (sia di reversibilità che indirette), l'esercizio di un'attività lavorativa può comportare riduzioni dell'importo della pensione. Se il reddito annuale derivante da tale attività è compreso tra tre e quattro volte l'importo minimo stabilito dall'INPS, la percentuale della pensione spettante al superstite diminuisce del 25% rispetto all'importo originario.
Se il reddito supera quattro volte l'importo minimo INPS, la pensione ai superstiti subisce una riduzione del 40%; se supera cinque volte l'importo minimo, la pensione ai superstiti viene ridotta del 50%. Queste riduzioni riguardano principalmente il coniuge superstite che riceve la pensione di reversibilità o indiretta mentre svolge ancora un'attività lavorativa o ha altri redditi. Tuttavia, vi è un'eccezione: tali riduzioni non si applicano se, oltre al coniuge, altri membri del nucleo familiare beneficiano della pensione (ad esempio, figli minori, studenti o inabili maggiorenni).