Quanto è difficile riconoscere un talento e, una volta trovato, come si lavora per fargli esprimere al meglio il suo potenziale e aiutarlo a raggiungere alti livelli? Sono domande che accompagnano da sempre iniziative e tornei come il ‘Francavilla al Mare Open 2024’ e TAG24 ha provato a rispondere grazie al suo direttore, Gianluigi Quinzi, ex professionista e grandissimo talento nel circuito juniores e ora importante allenatore pressol'Accademia Piatti Tennis Center di Bordighera.
È iniziato il 5 maggio e terminerà domenica 12 maggio l'Open di Francavilla al Mare, giunto alla sua sesta edizione. Un appuntamento ormai consolidato e prezioso per la sua capacità non solo di testare i talenti del futuro ma anche di metterli alla prova con professionisti e campioni già affermati.
Un valore ricordato da Francesco Ugolini, presidente dello Sporting club Francavilla al Mare che ospita l’evento, e ora ribadito da Gianluigi Quinzi, che in questo 2024 festeggia il terzo anno da direttore del Francavilla Open.
Raggiunto da TAG24 nel pieno dello svolgimento della competizione, Quinzi ha lodato l'attività dell'organizzazione per questa sesta edizione dell'Open e ha raccontato i rischi e il delicato lavoro che è necessario fare per far crescere nel modo giusto un giovane talento.
D. Come sta andando il torneo?
R. Stiamo andando molto bene, c'è tantissimo pubblico rispetto agli anni scorsi. Stiamo facendo un lavoro molto buono ogni giorno, grazie al grosso impegno da parte di tutti gli organizzatori.
D. Come allenatore, c'è in Italia un movimento particolarmente vivace tra i giovani?
R. Assolutamente sì, soprattutto perché ultimamente c'è più collaborazione con i team. Prima eravamo, tra virgolette, "più egoisti". C'era solo l'allenatore che faceva tutto a 360°. Adesso si cerca di avere nel team almeno tre o quattro persone molto esperte e che capiscano la professione. Tanti ex tennisti professionisti iniziano a far parte di questi team. Questa maggiore collaborazione è sicuramente fondamentale.
D. Perché si creava questo contrasto?
R. In alcuni casi gli allenatori erano un po' gelosi e possessivi nei confronti del singolo giocatore e non vedevano di buon occhio una collaborazione eccessiva con altre componenti del team. Oggi, invece, quest'aspetto secondo me sta cambiando. La collaborazione aiuta molto il giocatore, ovviamente, ma aiuta anche il singolo allenatore, che deve gestire un rapporto di 24 ore su 24 con il giocatore per 25 settimane e non è una cosa semplice. Quindi, se in questo lavoro interviene un'altra componente del team, diventa tutto più sano, altrimenti rischia di crearsi quel logoramento che il giocatore rischia di patire.
Biografie anche di campioni affermati - su tutte, la bellissima "Open. La mia storia" di Andre Agassi - hanno messo in luce l'enorme pressione che gli aspiranti tennisti vivono sulla loro pelle fin da ragazzi.
Un pericolo che va tenuto lontano, ha spiegato Quinzi, seguendo con attenzione il ragazzo ed effettuando una meticolosa programmazione del lavoro da svolgere.
D. Biografie come quella di Andre Agassi hanno. Questa cosa oggi è cambiata? E come si lavora per non far sentire l'atleta troppo sotto pressione?
R. Le pressioni vanno gestite perché tutti le hanno, sia i giovani sia i professionisti di altissimo livello. Allenatori e genitori, quindi, devono essere bravi a capire il ragazzo, perché spesso nel bene si fa anche del male, mettendogli troppa pressione addosso per raggiungere in fretta i risultati. Per me è molto importante prestare attenzione al miglioramento giornaliero e fissare obiettivi a breve e a lungo termine. Perché nel tennis si perde tutte le settimane. Djokovic e Nadal, che riuscivano ad andare sempre in fondo ai tornei, sono delle eccezioni e casi estremi. Bisogna quindi avere dei concetti chiari per non far sprecare troppe energie al giovane. Io lavoro al centro Piatti dove ci sono molti giovani e dobbiamo essere bravi noi coach ad anticipare i problemi che possono arrivare e a insistere tanto sul miglioramento e sugli obiettivi. Perché se cercano con troppa fretta il risultato, finiscono con l'andare in confusione, soprattutto se i risultati cominciano a essere negativi. Invece, se c'è un miglioramento e gli obiettivi sono chiari, poi i risultati arrivano.
D. Guardando il Francavilla al Mare Open, si vede già qualcuno tra i giovani che ha il potenziale per arrivare a certi livelli?
R. Non faccio nomi perché non voglio sbilanciarmi troppo, perché può davvero succedere di tutto nella carriera di un atleta. Dipende tanto dalle motivazioni e anche dagli infortuni. Il fisico va curato con molta attenzione se si vuole restare ad alti livelli per 15 o 20 anni nel Tour. Quella è la cosa più importante. Poi ci sono il livello alto e il rendimento, cioè la capacità di mantenere quel livello per molti anni. E, in questo caso, subentrano anche i risultati, perché magari il livello di un giocatore è alto ma gli capita di attraversare un periodo senza vittorie. Qui ci sono giovani che possono crescere molto bene ma la sicurezza non c'è mai, proprio perché le componenti che devono incastrarsi nel modo giusto sono moltissime. Però il riscontro della federazione è molto buono e abbiamo circa 15 o 20 atleti tra i primi 200 giocatori nella classifica Atp. Quindi direi che stiamo lavorando molto bene.