Chi ha ucciso Antonella Di Veroli? Perché? Sono solo due dei tanti interrogativi che da anni ruotano attorno al suo caso, rinominato da molti "delitto dell'armadio": di recente il legale che assiste i familiari, l'avvocato Giulio Vasaturo, ha chiesto alla Procura di Roma di tornare ad indagare. La loro speranza è che si possa finalmente arrivare alla verità.
Antonella Di Veroli aveva 47 anni e lavorava come commercialista in uno studio situato a poca distanza dall'appartamento in cui viveva, in via Domenico Oliva, nel quartiere Montesacro di Roma, quando, nell'aprile del 1994, fu trovata morta all'interno di un armadio della sua camera da letto con la testa avvolta in un sacchetto di plastica.
Secondo l'autopsia effettuata al tempo sul suo corpo morì asfissiata dopo essere stata tramortita con due colpi di pistola da qualcuno che, tentando di calmarla, le aveva somministrato anche dei tranquillanti: chi sia questa persona, a distanza di tanti anni, non si sa ancora. Nell'immediatezza dei fatti in due finirono nel mirino degli inquirenti.
Si trattava di due uomini che la donna aveva frequentato in momenti diversi della sua vita: Umberto Nardinocchi, presente al momento del ritrovamento del corpo insieme a un amico poliziotto e Vittorio Biffani, fotografo di professione. Entrambi furono sottoposti al test dello Stub, che permette di rintracciare eventuali tracce di polvere da sparo sulle mani; per entrambi il test diede esito positivo.
Nardinocchi riuscì a dimostrare che regolarmente si recava al poligono di tiro; la sua posizione, in questo modo, venne archiviata. Biffani invece finì a processo: si pensava che potesse aver preso di mira Di Veroli perché aveva avuto dei diverbi con la moglie, che aveva scoperto la loro relazione extraconiugale, oppure perché la donna gli aveva prestato un'ingente somma di denaro (e forse gliela richiedeva).
I giudici alla fine lo assolsero: si scoprì che la prova regina, il famoso test dello Stub che lo incastrava, non era valida. Ma anche che la vittima, a differenza di quanto si era creduto in un primo momento, non aveva fatto nulla per riavere indietro i soldi che gli aveva prestato.
In pratica l'uomo non aveva un movente. Il caso a quel punto fu archiviato: da allora i familiari di Antonella non fanno che chiedere giustizia e verità; di recente, attraverso il legale che li assiste, l'avvocato Giulio Vasaturo, hanno presentato un'istanza alla Procura di Roma per far riaprire le indagini.
Sarebbero tanti gli elementi da approfondire: si potrebbe verificare, attraverso le nuove tecnologie, se il bossolo della pistola da collezione usata per sparare alla 47enne rinvenuto sulla scena del crimine possa nascondere tracce di Dna. Ma si potrebbe anche cercare di fare chiarezza su una misteriosa telefonata che, secondo le ricostruzioni, partì da casa di Antonella la sera in cui morì, quella del 10 aprile.
Alle 22.45 la donna aveva detto alla madre, che le aveva telefonato, che a breve sarebbe andata a dormire: si era già preparata. Per questo, secondo chi indagò dopo il ritrovamento del suo corpo senza vita, fu uccisa da qualcuno che conosceva e a cui, senza problemi, aprì la porta di casa pur indossando il pigiama. Il giorno dopo, non avendo più sue notizie, i familiari ne denunciarono la scomparsa. Ne ritrovarono il corpo, rannicchiato, all'interno di un armadio: per questo, da molti, Antonella viene ricordata come la "donna dell'armadio".