Il suo nome compare tra quello dei serial killer che hanno mietuto più vittime e che, qualche anno fa, hanno ispirato la famosa serie tv Mindhunter: Ted Bundy, all’anagrafe Theodore Robert Cowell, ha ucciso almeno 30 donne in un arco temporale di appena quattro anni. Ecco la sua storia vera.
Ted Bundy nasce a Burlington, in Vermont, nel 1946. Trascorre l’infanzia a casa dei nonni, crescendo insieme a quella che – soltanto nel 1969 – scoprirà essere sua madre e non sua sorella: Eleonore Lovise Cowell, una ragazza madre.
A quel punto vivrà un periodo di forte depressione: si sentirà tradito non soltanto da lei, ma anche dal nonno, che per tutta la vita aveva creduto essere il padre. Un uomo dispotico e oppressivo che solo con lui sembrava andare d’accordo.
È un giovane di bell’aspetto, allegro e con un’intelligenza fuori dal comune: attrae le donne e sembra essere capace di volgere ogni situazione in suo favore. Terminati gli studi liceali, si iscrive all’università. Studia psicologia e legge, conducendo una vita apparentemente normale, dedita alla politica e perfino al volontariato.
Poi conosce una persona, quella che gli farà vivere la prima, vera delusione amorosa: una certa Stephanie Brooks, bella, influente e con i soldi. I due si frequentano, poi lei lo lascia senza dargli spiegazioni. Bundy soffre. Ed è a quel punto, forse, che in lui cresce il seme della violenza.
Nel 1974 coglie di sorpresa una ragazza di 18 anni nel suo letto, la picchia e la violenta. Un mese dopo commette il suo primo omicidio. Il modus operandi è sempre lo stesso: fingendosi in difficoltà adesca le sue vittime – tutte ragazze di carnagione chiara, con i capelli lunghi e castani, con la riga in mezzo – chiedendo loro aiuto e, una volta che le ha fatte salire sulla sua auto, le porta in un luogo appartato, le picchia e le uccide. Quando sono morte, ne violenta i corpi. Spesso anche per diversi giorni, divertendosi a mettere lo smalto ai cadaveri e a cambiare loro gli abiti. Quando si stufa, li abbandona.
Ma non li fa ritrovare. È un tipo attento e scrupoloso: un serial killer organizzato e pulito, che non lascia tracce. La prima a sospettare di lui è Janice Graham: quando, con un braccio ingessato, l’uomo le chiede il favore di aiutarlo a caricare una barca a vela sul tetto della sua macchina – dopo averla recuperata in un altro luogo – la donna si insospettisce, rifiuta e allerta le autorità, fornendo loro un suo identikit.
Sentendosi messo alle strette, Bundy lascia Seattle – dove si era trasferito – alla volta dello Utah, però continua ad uccidere. Il 16 agosto del 1975 la polizia lo ferma perché sta viaggiando a luci spente. Quando gli agenti perquisiscono il suo Maggiolino, vi trovano una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e delle manette e lo arrestano.
Poco dopo, saltando da una delle finestre della piccola biblioteca del tribunale che gli era stato concesso di frequentare (dopo aver licenziato il suo avvocato aveva scelto di difendersi da solo), Bundy fugge.
Viene ripreso sei giorni dopo, ma nel 1977, facendo un buco nel soffitto della sua cella, riesce nuovamente ad evadere. E non solo: torna ad uccidere. Nel febbraio del 1978 viene fermato in Florida alla guida di un’auto rubata e rimesso in carcere. Interrogato, ha confessato circa 30 omicidi. C’è chi pensa, però, che ne abbia commessi molti di più.
Ad incastrarlo sono soprattutto i morsi lasciati sui corpi di due delle ragazze assassinate. I giudici, al termine del processo, chiedono per lui la pena capitale. Dopo 15 anni passati nel braccio della morte viene ucciso mediante sedia elettrica il 24 gennaio del 1989, dopo aver rifiutato la sua ultima cena. Prima di morire, rivolgendosi ai presenti, dichiara: Dite alla mia famiglia e ai miei amici che li amo.
Ricordiamo l’appuntamento con Crimini e criminologia, in onda tutti i giorni dalle 19 alle 20 in radiovisione su Radio Cusano Campus e Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre) con la conduzione di Fabio Camillacci.