Complessa ed estremamente delicata la vicenda che vede protagonista il giovane Luigi Giacomo Passeri, il 31enne rinchiuso in un carcere in Egitto dallo scorso 23 agosto 2023 e che oggi, 21 agosto 2024, ha ricevuto l'infausta sentenza: condannato all'ergastolo con 25 anni, ma che reato ha commesso? Secondo le autorità egiziane il ragazzo sarebbe stato trovato in possesso di sostanze stupefacenti e, per questo, accusato di traffico internazionale di droga.
Eppure, questi 25 anni hanno un sapore amaro per il 31enne, da sempre professatosi innocente, e pure per l'avvocato, Said Shabaan, che ha intenzione di fare ricorso in Appello e avviare l'iter per l'estradizione in Italia. La famiglia Passeri è scioccata dalla sentenza e si schiera al fianco di Giacomo, lanciando un appello al governo italiano: "Aiutateci a riportarlo a casa".
A raccontare la lunga e dolorosa battaglia a Tag24 il frallo di Giacomo, Andrea Passeri, che dice: "Noi siamo convinti della sua innocenza".
Lettere su lettere di dolorose e terribili parole arrivate alla famiglia Passeri da Giacomo, rinchiuso da un anno nel carcere di Badr, a nord del Cairo. Il 31enne è stato fermato, lo scorso agosto 2023, mentre lasciava un hotel a Sharm el-Sheik, dopo una vacanza, per rientrare a Londra, dove vive insieme a una sorella.
In realtà, come spiega il fratello Andrea a Tag24:
"Il giorno prima di partire, mio fratello si sentiva male. Gli faceva male lo stomaco, allora ha chiamato il personale dell'albergo per farsi mandare un medico per farsi visitare. Questo è successo la mattina, intorno alle 7 - mi sembra. Alle 9, però, non ha visto arrivare nessuno e voleva lasciare l'albergo per andare lui stesso in ospedale. Cosa che gli è stata impedita: è stato fermato dal personale. Sono arrivati i poliziotti, che hanno cominciato a fare le perquisizioni".
È in quel momento che per Giacomo comincia l'incubo: in preda al dolore di stomaco, viene fermato dagli agenti e picchiato, poi caricato sulla volante, dove continuano a malmenarlo "arrabbiati per non aver trovato niente", ha infatti, detto il 31enne al telefono con la famiglia, mentre raccontava il perché e il come fosse stato arrestato:
"Lo hanno picchiato e minacciato in un inglese spezzettato, dicendo: "Tu adesso rispondi a quello che diciamo noi, sennò qua muori". E hanno continuano il pestaggio, finché mio fratello si è sentito male e si è accasciato. Lì, per paura, lo hanno portato in ospedale, dove hanno fatto i controlli. I medici hanno visto che aveva l'appendicite e lo hanno operato d'urgenza. Però, da un'operazione per appendicite a un documento ufficiale rilasciato dalla polizia in cui si dice che Giacomo aveva della droga nella pancia... ci passa un abisso".
La presunta presenza di droga nello stomaco del ragazzo, quindi, sarebbe la motivazione che ha spinto gli agenti ad arrestarlo e dare vita al processo, culminato nella pena a 25 anni di carcere. Una pena che sembra sproporzionata rispetto al presunto reato commesso. Tuttavia, l'Egitto punisce molto severamente lo spaccio di sostanze stupefacenti:
"Noi siamo stupiti da questa pena. Mio fratello non è Pablo Escobar" dice amareggiato Andrea, ancora incredulo davanti a tutto ciò. Non solo, l'uomo sottolinea anche le stranezze proprio di quei primi attimi e dell'interrogatorio subito dopo il fermo:
"Mio fratello è di Pescara, parla italiano e inglese. I poliziotti erano in sei e nessuno di loro parla inglese o italiano. Come hanno potuto interrogare un ragazzo in queste condizioni? All'udienza, uno degli agenti è stato chiamato a testimoniare e ha detto di averlo interrogato in arabo. Ci sono falle da tutte le parti. Non si capisce nemmeno sto ragazzo in che lingua lo abbiano interrogato".
Si è svolta lo scorso 19 agosto 2024 la terza udienza, che ha visto seduto al banco degli imputati il giovane Giacomo Passeri. Accanto a lui il suo avvocato, due interpreti e il console italiano.
Trema la voce di Andrea al telefono con Tag24, raccontando della chiamata fatta dal loro legale, nella quale ha annunciato la decisione dei giudici del Tribunale egiziano e l'intenzione di ricorrere in appello. Incrollabile, infatti, la convinzione dell'avvocato Shabaan nell'innocenza del 31enne. Tuttavia, per poter avviare l'iter di estradizione è necessario accettare la condanna.
Una possibilità che permetterebbe alla famiglia di poterlo riabbracciare, ma che lascia l'amaro in bocca, perché questo significherebbe condannare Giacomo a trascorrere 25 anni in carcere. Forse meno, grazie agli sconti di pena previsti dal nostro ordinamento, ma pur sempre un rischio.
"Noi ci auguriamo che mio fratello non debba scontare la pena in Italia, perché pensiamo che lui sia innocente, ma viste le dinamiche di ciò che sta accadendo lì... visto che non si riesce ad avere una cosa regolare, onesta, preferiamo che lui stia in Italia. Non so come funziona, ma se si possa fare nuovamente la causa, rivedere tutti i fatti... L'importante è che lui sia vivo e che riusciamo a fare tutto ciò. Quindi, cerchiamo di fare entrambe le cose: l'appello e l'estradizione".
Queste le parole del fratello, che ora aspetta, insieme al resto della famiglia, che arrivi la lettera con le motivazioni della sentenza. Un'attesa di qualsiasi cosa possa dare loro informazioni su cosa stia succedendo in Egitto e su quali siano le condizioni di Giacomo:
"L'ultima volta che lo abbiamo sentito, ci riuscì mio fratello un anno fa, proprio un anno fa esatto. Riuscì a parlargli al telefono. Poi più niente chiamate. Ci sono delle lettere che arrivano, in cui lui descrive la sua situazione, ciò che gli accade".
Un trattamento che è leggermente migliorato, dice Andrea, rispetto all'inizio, al momento dell'arresto. Pare che adesso la situazione sia più vivibile, ma pur sempre estremamente difficile. Purtroppo, lo stesso procedimento per l'estradizione in Italia è lungo e complesso e, spesso, soggetto ai ritardi burocratici.
Accorato l'appello del fratello Andrea alle Istituzioni e ai politici italiani, nella speranza che si interessino al caso di Giacomo e intervengano per riportarlo nel nostro Paese, come già successo in precedenza con Ilaria Salis o Chico Forti:
"Mi sono reso conto che stiamo combattendo una battaglia che noi da soli non vinceremo mai. Chi ci può aiutare è lo Stato italiano, se mettesse una mano sulla coscienza e si rendesse conto dell'ingiustizia che gli stanno facendo... lo dimostra anche solo la condanna che ha preso, di come stanno facendo le cose. Questo fa vedere quanto valgono. Se non passa questo, noi non sappiamo che fare. Se lo Stato italiano decide di aiutarci, pensiamo di poterlo rivedere. Sennò una cosa è certa: primo o poi quel ragazzo muore lì. Questo è l'appello che mi sento di fare".