16 Oct, 2024 - 13:17

Taiwan, la Cina si prepara ad invadere l'isola? Casanova (Ispi): "Un intervento militare di Pechino sembra improbabile per ora"

Taiwan, la Cina si prepara ad invadere l'isola? Casanova (Ispi): "Un intervento militare di Pechino sembra improbabile per ora"

Le esercitazioni militari messe in atto dalla Cina negli ultimi giorni intorno a Taiwan hanno fatto temere il peggio. Si è pensato che l'esercito di Pechino fosse pronto ad invadere l'isola da un momento all'altro. Taiwan è da quasi ottant'anni un obiettivo cinese ed un'eventuale annessione potrebbe avere impatti devastanti sull'economia mondiale. Lo stato insulare è un importante centro di produzione di microtecnologie ed è la ventitreesima economia mondiale.

Impatti importanti potrebbero registrarsi anche sulla geopolitica dell'Oceano Pacifico. Taiwan infatti costituisce un centro di scambi internazionali e un prezioso alleato per gli Stati Uniti in Estremo Oriente. L'analista geopolitico dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) Guido Alberto Casanova ha spiegato in esclusiva a Tag24 quali effetti potrebbe sortire un'invasione cinese di Taiwan sull'economia internazionale.

Esercitazioni militari della Cina vicino a Taiwan: l'intervista all'analista geopolitico Casanova (Ispi)

D: Perché la Cina ha preso in considerazione l’idea di invadere Taiwan?

R: "La questione di Taiwan agli occhi di Pechino riguarda l'integrità territoriale cinese perché Taiwan fino al 1895 era parte dell'impero Qing quando le venne sottratta e divenne una colonia dell'impero giapponese. Dopo il 1945, con la sconfitta nella Seconda guerra mondiale il Giappone cedette tutti i territori che aveva conquistato, inclusa Taiwan".

"In quel momento, nel 1945, quando il Giappone abbandonò il proprio controllo su Taiwan, la Cina ne prese possesso de facto perché un trattato di pace tra Tokyo e e la Cina nazionalista di Chiang Kai-shek in quel momento non era ancora stato firmato, ma era nei piani che venisse concluso negli anni successivi. Con lo scoppio della guerra civile e la sconfitta dei nazionalisti subita dai comunisti di Mao, Chiang Kai-shek e le istituzioni della Repubblica di Cina si rifugiarono a Taiwan".

"Il partito comunista cinese si è affermato in Cina sull'onda di una narrazione per cui dopo il secolo dell'umiliazione, quello iniziato negli anni 30 dell'Ottocento con le guerre dell'Oppio, si sarebbe concluso nel 1949 con la fondazione della Repubblica Popolare e il secolo successivo sarebbe dunque stato il secolo del riscatto guidato dalla Repubblica Popolare Cinese".

"La riconquista di Taiwan agli occhi cinesi è parte integrante di quel processo di riaffermazione dello status internazionale della Cina come grande potenza, status che loro considerano essere sempre appartenuto alla Cina ma che invece è venuto meno durante il Secolo dell'umiliazione".

"Quindi riprendere Taiwan vuol dire, da un punto di vista simbolico, chiudere quel periodo di eccezionale debolezza che ha temporaneamente interrotto la storia di grande potenza internazionale della Cina".

I rapporti con l'Occidente dopo la possibile azione militare

D: I rapporti con l'Occidente però rischiano di essere completamente compromessi. Già due anni fa c'è stata l'interruzione di una serie di dialoghi militari con gli Stati Uniti. Cosa potrebbe portare un'eventuale azione militare?

R: "Qui stiamo parlando di ipotesi perché in questo momento io non ritengo che sia probabile un intervento militare cinese a Taiwan. Le esercitazioni che vediamo in questi giorni sono secondo me circostanziali. Certamente un'invasione cinese di Taiwan, date le condizioni attuali, non è pensabile. Anche perché quelle che sono state ingiustamente bollate come gaffe di Biden sul fatto che gli Stati Uniti avrebbero protetto Taiwan non sono tali".

"In sostanza gli Stati Uniti interverrebbero a difesa di Taiwan. Quindi io ritengo in questo momento abbastanza improbabile che Xi Jinping possa rischiare un conflitto aperto con gli Stati Uniti per Taiwan. Queste esercitazioni sono tuttavia forti segnali lanciati agli Usa, come a rimarcare che la questione di Taiwan è una linea rossa per Pechino".

L'invasione potrebbe avvenire nel 2027 o nel 2049?

D: Quindi il 2027 ed il 2049 non sono date che necessariamente segneranno una svolta per la Cina?

R: "Sono date simboliche, non dobbiamo pensarla come appuntamenti. Certo è che per il Partito Comunista Cinese un simbolismo così forte è ovviamente di grande richiamo. Il 2049 è il centenario della fondazione della Repubblica Popolare, nonché la data entro cui la Cina mira ad essere riuscita a riguadagnare la propria posizione di potenza mondiale".

"Il 2027 invece è stato menzionato diverse volte, dovrebbe essere il centenario della fondazione dell'Esercito Popolare di Liberazione, le forze armate cinese. Non so se ci sia del vero nell’ipotesi secondo cui gli anniversari avrebbero un peso rilevante della definizione dei piani strategici cinesi".

"Certo è che per Pechino la possibilità di conquistare Taiwan con la forza è un'opzione che non possono togliere dal tavolo nel momento in cui dall'altra parte esistono delle forze indipendentiste che vorrebbero l'esistenza di una Repubblica di Taiwan. Oggi Taiwan esiste ufficialmente come Repubblica di Cina, il cui controllo si estende alla sola Taiwan: quindi secondo l’interpretazione cinese in un certo senso l’isola (benché fuori dal proprio controllo) sarebbe comunque parte della stessa Cina su cui il governo di Pechino afferma di essere l’unico rappresentante legittimo".

"Quindi, per non dare spazio alle forze politiche che rifiutano la subordinazione dell’isola rispetto alla Cina continentale, Pechino sente di non potersi permettere di togliere dal tavolo l'opzione militare poiché farlo vorrebbe dire abbandonare di fatto l'idea che Taiwan possa essere riunita alla Cina".

"C’è un dato che non può sfuggire che Taiwan detiene la maggior parte della produzione internazionale di chip e soprattutto di nanotecnologie, microtecnologie che sono fondamentali per la maggior parte delle cose che usiamo oggigiorno".

Il mercato dei microchip a Taiwan

D: Com'è potuto fiorire in una zona così limitata un mercato così importante?

R: "Non è successo da un giorno all’altro perché l'industria dei microchip segue tendenze che hanno periodo molto lunghi di sviluppo. Le nanotecnologie, in particolare quella dei microchip, hanno come proprio luogo di nascita fondamentalmente la Silicon Valley e l'Occidente, e una menzione va fatta anche dell'Italia per ricordare la Olivetti".

"Man mano che queste tecnologie si sono evolute, alcune fasi della produzione di microchip sono diventate a margine sempre più ridotto e quindi diventava economicamente ragionevole esternalizzare quella fase della produzione e commissionarla in Paesi in cui magari la manodopera costava di meno, i regolamenti sull'inquinamento ambientale erano più permissivi".

"Spesso la destinazione di questa migrazione industriale è stata l'Asia, dove appunto nei decenni scorsi si è affermato un importante ecosistema per la fabbricazione dei microchip. In sostanza i taiwanesi prendono i progetti dei circuiti integrati concepiti in Occidente e si occupano di inciderli su dischi di silicio".

"Questi progetti passano attraverso grandi aziende taiwanesi specializzate nella produzione materiale di questi microchip che per essere fabbricati hanno bisogno di altissime competenze tecniche e ingegneristiche. Queste competenze tecniche e ingegneristiche sono migrate nei decenni scorsi dall'occidente verso l'Asia, in questo caso verso Taiwan".

Come cambierebbe la geopolitica del Pacifico

D: E quanto può pesare nella geopolitica del Pacifico, dell'intera isola, a livello sia commerciale oltre che della produzione tecnologica?

R: "Tantissimo. Da Taiwan provengono i microchip che usiamo in praticamente quasi tutti gli strumenti a più alto contenuto tecnologico, come gli smartphone o i laptop. Gli effetti di un blocco navale dell’isola sarebbero veramente pesanti: se si bloccasse l’export dei microchip da Taiwan credo che l'economia internazionale soffrirebbe perdite per almeno 2-3 mila miliardi di dollari".

"Se invece poi ci aggiungiamo anche gli eventuali effetti collaterali che un'invasione cinese potrebbe avere, quindi non solo un blocco all'export, secondo una stima di Bloomberg il costo per l'economia mondiale sarebbe addirittura di 10mila miliardi di dollari, quasi il 10% del Pil globale".

"Già questo di per sé dà un po' la misura dell'importanza di Taiwan per il Pacifico. Poi c'è anche il tema della credibilità degli impegni militari statunitensi nella regione, perché nel momento in cui gli Stati Uniti decidessero di non intervenire a favore di Taiwan il valore delle alleanze con Washington nell'intero quadrante dell'Asia Pacifico verrebbe ridimensionato e di conseguenza gli equilibri geopolitici della regione ne risentirebbero fortemente".

Taiwan è un avamposto occidentale in Asia?

D: E’ giusto definire Taiwan come un avamposto occidentale in Asia?

R: "E’ sempre complesso applicare l’etichetta di occidentale quando si parla di Asia. Sicuramente Taiwan è una democrazia e si percepisce come tale, e in virtù di ciò ritiene di appartenere alla grande famiglia internazionale delle democrazie. Proprio in questi giorni l'ex presidente Tsai Ing-wen è in visita in Europa e in un forum che si tiene a Praga, questi giorni rimarcava il fatto che Taiwan fa parte del gruppo delle democrazie, che quindi è una consorella dell'Occidente in questo senso".

"Su queste basi, sicuramente si può parlare di una comunanza di vedute tra Taiwan e l'Occidente, ma perché entrambi i soggetti di cui stiamo parlando sono democratici e quindi in virtù di questa democraticità si ritengono di far parte di un unico gruppo di Paesi opposto ai paesi autoritari".

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Francesco Fatone
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