La guerra in Medio Oriente volge al termine? Questa è la convinzione di Netanyahu e di gran parte del popolo israeliano dopo la morte nella giornata di ieri del leader di Hamas Yahya Sinwar. Resta un grande punto di domanda dopo l'uccisione da parte delle Idf: cosa ne sarà degli ostaggi rimasti prigionieri a Gaza dal 7 ottobre 2023? Il recupero delle 121 persone detenute nella Striscia è una missione prioritaria secondo il premier Netanyahu che però negli ultimi mesi ha dato più importanza all'eliminazione del leader di Hamas.
L'analista geopolitico del Centro Studi Internazionali Emanuele Volpini ha spiegato a Tag24 quale potrebbe essere il destino degli ostaggi e quello di Hamas dopo la morte di Sinwar. L'unica certezza è che il conflitto proseguirà fino alla vittoria totale di Israele: l'ultimo baluardo rimasto sembra essere l'ayatollah iraniano Khamenei.
No, Hamas non può dirsi sconfitta. L'analista geopolitico del CSI Emanuele Volpini ha spiegato a Tag24 che il gruppo terroristico in questo anno è riuscito a riportare al centro la questione palestinese in un momento in cui nei Paesi arabi si stava superando questo ostacolo per normalizzare i rapporti con Israele. "Hamas in questi mesi ha vinto sia per questo motivo e sia perché ha mostrato il volto peggiore di Israele" spiega Volpini. La reazione israeliana all'attacco terroristico del 7 ottobre 2023 è stata spropositata ed ha portato a una guerra che da Gaza si è spostata sempre più verso il Libano.
"Quindi Hamas ha vinto doppiamente proprio perché ha mostrato la vera natura del governo Netanyahu e lo spirito che aleggia in Israele in una parte del popolo e dei suoi leader" continua Volpini.
Gli anni '20 del 2000 hanno dato l'impressione che i conflitti tra il mondo arabo e quello israeliano stessero volgendo al termine. Dopo anni di relazioni complicate, l'Arabia Saudita sembrava volersi ispirare al modello israeliano e sono stati chiusi diversi accordi tra i due Paesi. Nel 2020 erano stati firmati gli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan che prevedevano una normalizzazione dei rapporti tra gli Stati. È bastato un giorno, il 7 ottobre 2023, per mandare tutto all'aria. Nell'anno di guerra, l'opinione del mondo arabo su Israele ha fatto un grande passo indietro.
Le reazioni scaturite dall'attentato terroristico hanno mostrato, secondo Volpini, il vero volto di Israele e sono stati utili a 'polarizzare' l'opinione araba contro Tel Aviv.
E ora che fine faranno gli ostaggi? La questione è sembrata sempre essere passata in secondo piano fino alle prime ore di oggi quando il premier Netanyahu ha ribadito di voler portare a casa le 121 persone rimaste a Gaza. Un'intenzione reale o solo parole? Secondo Volpini, negli ultimi dodici mesi di guerra la questione ostaggi non è stata mai affrontata realmente: "Non c'è mai stata una reale intenzione, quasi come se l'ostaggio fosse più un pretesto per continuare le operazioni e quindi andasse bene continuare ad avere dei cittadini israeliani in mano ai palestinesi" spiega l'analista.
Sicuramente l'eliminazione di un leader e della sfera politica più alta di Hamas potrebbe rallentare le operazioni di negoziazione, nelle prossime ore o nei prossimi giorni potrebbe essere nominato il nuovo capo di Hamas e questo potrebbe permettere una riapertura dei negoziati anche se ora Netanyahu ha il coltello dalla parte del manico.
Nel suo video, pubblicato ieri sera, il premier israeliano ha ribadito ancora una volta che Hamas dovrà arrendersi o pagherà le conseguenze. In mattinata infine Netanyau ha convocato una riunione di sicurezza per parlare della questione ostaggi e trovare una soluzione nel breve termine.
La morte di Sinwar potrebbe essere sicuramente un'occasione importante perché può rappresentare il momento per riempire un vuoto nella società palestinese, spiega Volpini. L'Anp, Al Fatah e tutti gli altri gruppi che nei mesi scorsi si sono anche recati in Russia per cercare di trovare un accordo per rappresentare il popolo palestinese non solo di Gaza ma anche in Cisgiordania, dovranno riuscire a cavalcare questo momento e a mostrarsi come una reale alternativa ad Hamas perché altrimenti si potrà concedere al partito islamico del tempo per riorganizzarsi e tornare ad avere il controllo nella Striscia.
La guerra si avvia a una conclusione ma non è ancora finita. L'ultimo nemico da abbattere è l'Iran, principale finanziatore del gruppo armato sciita Hezbollah e degli Houthi. Netanyahu adesso deve valutare come reagirà il mondo dell' 'Asse della Resistenza'. "Un conto è colpire Hezbollah o Hamas ma un'altra cosa è colpire l'Iran" spiega Volpini sottolineando quanto possa essere difficile fronteggiare un esercito nazionale rispetto a due gruppi armati.
Molti sostenitori di Israele ritengono che il prossimo obiettivo sia proprio Khamenei ma l'Ayatollah è una figura nettamente più importante rispetto a Sinwar e Nasrallah. Gli Stati Uniti dal canto loro sembrano essere intenzionati a scongiurare qualsiasi tipo di escalation.
"Nel momento in cui però Israele dovesse rivolgere le proprie capacità militari e offensive verso Teheran, quindi verso la Ayatollah e i siti nucleari iraniani sembra difficile che gli Stati Uniti e il mondo arabo siano disposti a correre il rischio di un'escalation" spiega Volpini. Nuove tensioni potrebbero rivelarsi un assist all'Iran e dimostrerebbero che Israele è fuori controllo. L'abilità di Tel Aviv, in questo senso, dovrebbe essere quella di evitare nuove tensioni e portare il conflitto verso la fine.