Ci sono casi di omicidi che, per loro natura, sono più delicati di altri. Casi che agli occhi dell’opinione pubblica appaiono inspiegabili, come quello del mostro di Foligno, come fu rinominato dalla stampa Luigi Chiatti, che nel giro di un anno, tra il 1992 e il 1993, rapì e poi uccise due bambini: Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci. Un caso che, a distanza di tanti anni, continua a riempire le pagine di cronaca del nostro Paese. Per raccontarlo dobbiamo fare un passo indietro.
Tutto inizia il 4 ottobre del 1992, quando Simone Allegretti, di 4 anni e mezzo, scompare improvvisamente nel nulla mentre gioca, come fa spesso, vicino la sua casa di Maceratola, tra Foligno e Bevagna, in Umbria.
Due giorni dopo, all’interno di una cabina telefonica della zona, i carabinieri trovano un biglietto con su scritto:
La firma? Il mostro. Si pensa subito a un mitomane. Poi la terribile scoperta: nel luogo indicato dalla lettera c’è davvero il corpo del bambino. Presenta evidenti segni di strangolamento e ferite da arma da taglio: Simone – è subito chiaro – è stato ucciso. Scatta l’allarme. In città è caccia all’assassino.
Nel tentativo di raccogliere informazioni utili alle indagini, le autorità attivano un numero anti-mostro. Arrivano tante segnalazioni, tutte senza fondamento. Tutte tranne una: è di un tipo di Milano, un ragazzo di nome Stefano Spilotros che, a un certo punto, si autoaccusa dell’omicidio.
Il problema è che non ricorda i dettagli più importanti. Addirittura è incerto sulla data del delitto. Il motivo è semplice: ha inventato tutto. Messo alle strette, racconta agli investigatori di essere stato lasciato dalla ragazza e di essersi finto il mostro per attirare la sua attenzione.
Le indagini si bloccano. Nei pressi di un’altra cabina telefonica, poco dopo, viene rinvenuta una seconda, terrificante lettera. Porta sempre la firma del mostro.
c’è scritto. Neanche un anno dopo il primo omicidio il mostro torna a colpire. Rapisce Lorenzo Paolucci, di 13 anni, e lo uccide. È il nonno, che aveva dato l’allarme, a trovarne i resti, nei pressi di una scarpata. Le scie di sangue sono nitide e portano dritte da Luigi. Luigi Chiatti.
Si tratta di un giovane di 25 anni che vive in un’abitazione situata a poca distanza dal luogo del ritrovamento del corpo di Lorenzo. Quando gli investigatori la perquisiscono, trovano 12 floppy disk contenenti piani su come rapire bambini. Ma ci sono anche vestiti, oggetti che destano sospetti. Come un forchettone a due rebbi compatibile con le ferite riscontrate sul corpo del ragazzino.
Messo alle strette, Chiatti confessa. Non solo l’omicidio di Paolucci, ma anche quello di Allegretti (che, per sua stessa ammissione, ha anche violentato). I grandi occhi azzurri gli conferiscono un’aria innocua. Dal modo in cui parla, in particolare il modo in cui parla degli omicidi, si capisce subito, però, che ha dei problemi.
Dice di aver agito per seguire un piano che da anni aveva nella testa: quello di scappare di casa e rapire due bambini molto piccoli, un anno o poco più per tenerli con sé per la durata di sette anni, in montagna. In questo modo, secondo lui, avrebbe sopperito al problema della sua solitudine.
avrebbe fatto mettere a verbale. Nato il 27 febbraio del 1968 a Narni come Antonio Rossi (dal cognome della madre Marisa, cameriera), era stato dato in affido e poi adottato dai coniugi Ermanno Chiatti e Giacoma Ponti, di Foligno, mostrando fin da piccolo difficoltà di adattamento di tipo sociale.
I periti avrebbero discusso a lungo sulle sue condizioni psicologiche, arrivando ad attribuirgli una spiccata ipertrofia dell’io, tratti borderline, paranoidi e ossessivi, comportamenti antisociali e anaffettivi.
Il 28 dicembre del 1994 Chiatti viene condannato a due ergastoli. L’11 aprile di due anni dopo la Corte d’Assise d’Appello di Perugia modifica la sentenza di primo grado e, acquisendo il parere del professor Andreoli, che lo riconosce seminfermo di mente, lo condanna a 30 anni di reclusione. Sentenza che l’anno successivo viene resa definitiva dalla Cassazione.
Nel 2015 Chiatti ha terminato di scontare la sua pena ed è stato scarcerato, venendo trasferito in una Rems in Sardegna. Avrebbe dovuto trascorrerci tre anni, ma ad oggi non è uscito: secondo gli esperti è ancora socialmente pericoloso. Significa che potrebbe tornare a fare del male. Che potrebbe tornare ad uccidere.
Di storie come la sua parla Fabio Camillacci nella trasmissione La storia oscura, in radiovisione dal lunedì al venerdì dalle 21 alle 22 e il sabato dalle 21.30 alle 22.30 su Radio Cusano Campus e Cusano Italia TV (canale 122 del digitale terrestre). Tutte le puntate sono recuperabili su Cusano Media Play.