07 Feb, 2025 - 19:22

"Io Sono Ancora Qui": il regista Walter Salles racconta l'ingiusta morte di Rubens Paiva

"Io Sono Ancora Qui": il regista Walter Salles racconta l'ingiusta morte di Rubens Paiva

 
"Io Sono Ancora Qui", approfondimento e critica:

Immaginatevi di svegliarvi in casa vostra in una splendida mattinata di sole, calda e luminosa. Da lontano udite le voci dei vostri cari in un’altra stanza che chiacchierano e ridono, come se al mondo non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. La colazione già pronta, il pranzo per più tardi che sta cuocendo in forno. Un appuntamento per cena a casa di amici già organizzato. Programmate addirittura di andare al cinema a vedere un film a fine serata. Tutto procede tranquillo in una di quelle giornate fortunate, forse troppo, dove se ti soffermi un attimo a pensare a quanta grazia stai ricevendo dal fato, t’assale l’ansia al pensiero che probabilmente sta per arrivare un pegno da pagare. E quel conto arriva, rapido e fulmineo come un colpo di frusta: la polizia bussa alla porta strappandovi ai vostri affetti senza lasciarvi altra scelta. La vostra unica colpa è di aver rivendicato il libero pensiero, possedendo un’ideologia politica diversa da quella che lo Stato impone. Non un atto sovversivo, non una rivolta, non un’aggressione violenta ai danni del governo. Solo la vostra opinione espressa in contrapposizione alla dittatura. Quella sarà l’ultima volta che vedrete la vostra famiglia, o l’intimità delle vostre mura domestiche. Come durante una deportazione verrete trascinati via, sapendo che sulla vostra testa pende una condanna a morte implicita. Passeranno poi giorni e nottate intere senza potervi lavare, o usare un bagno pulito, mangiando a malapena e dormendo sdraiati su un blocco di cemento senza materasso. Verrete torturati, umiliati, picchiati fino allo stremo delle forze. Con un cappuccio in testa, non potrete nemmeno vedere dove vi trovate. E dopo settimane di stenti, con la puzza proprio sotto al naso del vostro stesso sudiciume, verrete uccisi. La vostra vita terminerà senza un briciolo di grazia, in un luogo buio e sporco, col viso sciupato e il corpo pieno di lividi, e l’olezzo di feci e urina vecchia ancora dentro alle narici. Infine, senza neanche meritarvi una sacra sepoltura, le vostre spoglie verranno gettate con noncuranza e disprezzo in una fossa comune di fianco ad altri cadaveri. Come se non foste mai esistiti, come se la vostra esistenza non avesse avuto alcun valore.

Questo è quel che è accaduto in Brasile a Rubens Beyrodt Paiva nel gennaio del 1971, come ad altre centinaia di vittime, tra il 1964 e il 1985, durante la dittatura militare brasiliana. Paiva fu prelevato dalla polizia e portato nella caserma dove poi venne ucciso. Il giorno dopo anche una delle figlie e la moglie Eunice Facciolla vennero rapite e portate nel medesimo luogo, per essere interrogate con la presunta accusa di cospirazione. La prima fu trattenuta per 24 ore, la seconda rimase prigioniera per 12 giorni senza avere notizie del marito o della figlia. Una volta rilasciata, e tornata da quattro dei suoi cinque figli (la maggiore all’epoca si trovava a Londra per un viaggio di piacere), di Rubens non seppe più nulla fino a quando, molto tempo dopo, non fu dichiarato morto. Il corpo non fu mai riconsegnato alla famiglia. Rubens Paiva, nato in Brasile il 26 dicembre del 1929, nel ’71 fu accusato di cospirare nei confronti della dittatura vigente perché anni prima era stato un deputato del Partito Laburista, appartenente al centro-sinistra.

La tirannia di quel governo di estrema destra attaccava violentemente chi era dichiaratamente orientato a sinistra, o chi si batteva per cercare di riottenere la democrazia nel Paese. Da questo, come in altre Nazioni dell’America latina, tra gli anni ’70 e ’80, il fenomeno dei desaparecidos: moltissime vittime, imprigionate e uccise, fatte sparire seppellendone i corpi in aree disperse.

Marcelo Rubens Paiva, scrittore, giornalista e sceneggiatore, figlio dell’ex deputato, nel 2015 ha pubblicato un libro di memorie intitolato “Sono Ancora Qui” per raccontare al mondo la triste storia della sua famiglia. Ed è da quest’ultimo che è tratto il nuovo lungometraggio del regista Walter Salles, “Io Sono Ancora Qui”, presentato in anteprima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il 1° settembre 2024. Candidato, tra le altre cose, ai premi Oscar 2025 come miglior film, la pellicola è una ricostruzione brutalmente drammatica della lotta di Eunice Facciolla per ottenere giustizia per il marito scomparso. L’attrice Fernanda Torres, che interpreta la protagonista, oltre a svariate candidature, ha ricevuto il Golden Globe come miglior attrice; la prima brasiliana a ottenere questo premio. E difatti l’interpretazione della Torres è straordinaria. Racconta, con un grandissimo talento, il coraggio di una donna forte, devastata dal dolore ingiustamente subito, che oltre ad aver perso il consorte in circostanze disumane, si ritrova da sola a dover fronteggiare problemi economici del tutto imprevisti, con cinque figli a carico.

La pellicola parte con una rappresentazione semplice, intima e delicata della quotidianità della famiglia Paiva: una bellissima casa in riva al mare, quattro figlie femmine e un figlio maschio, una colf affezionata, un piccolo cane portato a casa dopo averlo trovato abbandonato in spiaggia, un matrimonio affiatato e tanti soldi. Un ritratto fedele della classica agiatezza delle persone benestanti. Il regista ci mostra uno spaccato di vita tranquilla, come se si aprisse davvero uno squarcio sull’esistenza di qualcuno e tu potessi sbirciare per osservare quel che accade. Tant’è che all’inizio alcune scene risultano un po’ superflue e ridondanti, ma è quando arrivano i momenti drammatici che capisci che lo scopo era quello di farti affezionare il più possibile a quel quadretto familiare. Il senso di ingiustizia, la rabbia e il dolore così li percepisci quasi come se fossi tu a viverli in prima persona. Penso che la bravura di Salles, come regista, sia racchiusa proprio qui.

Vista la recente tendenza globale al ritorno verso la meschinità disumana della destra estrema, credo che i film di questo genere siano più che mai necessari per ricordarci cosa siamo stati e cosa non dovremmo, in alcun caso, tornare a essere. Quattro stelle su cinque.

AUTORE
foto autore
Marta Micales
condividi sui social
condividi su facebook condividi su x condividi su linkedin condividi su whatsapp
ARTICOLI RECENTI
LEGGI ANCHE