Quei 90 minuti de "La strada stretta per il profondo Nord", presentati lo scorso 15 febbraio 2025 alla 74esima edizione del Festival del Cinema di Berlino, hanno spezzato il cuore e commosso tutta la platea. L'orrore di una delle pagine più buie della storia australiana si è riversato nella pellicola di Justin Kurzel, regista acclamato alla sua prima serie tv.
L'incredibile interpretazione dell'attore Jacob Elordi ("Euphoria") e degli altri membri del cast, poi, hanno reso ancora più promettente la miniserie, che esordirà in televisione il prossimo 18 aprile. Sullo sfondo della Seconda guerra mondiale, però, i fan in attesa si chiedono se la trama sia basata su una storia vera. Ecco cosa sappiamo.
La miniserie diretta dal registra australiano Justin Kurzel affonda le sue radici nel romanzo omonimo, "La strada stretta verso il profondo Nord", scritto da Richard Flanagan e pubblicato nel 2013 da Bompiani. Tanto il libro, quanto la serie tv hanno come soggetto uno degli eventi più sanguinosi e dolori della storia contemporanea.
A fare da ambientazione a entrambi, infatti, la Seconda guerra mondiale, vista attraverso gli occhi dell'Australia. Sia Kurzel che Flanagan sono di origine australiana e quando raccontato nei loro lavori li tocca personalmente.
Sebbene i personaggi di "La strada stretta per il profondo Nord" non siano reali, gli avvenimenti narrati sì. Per cui si potrebbe dire che la miniserie si basa su fatti realmente accaduti, pur non essendo una storia vera.
Tuttavia, qualche rimando alla realtà vale anche per il protagonista, Dorrigo Evans, interpretato da Jacob Elordi. Come anticipato nella trama della serie tv, da adulto e dopo essere riuscito a sfuggire alla prigionia dei giapponesi, Evans è diventato uno stimato e importante chirurgo. Il suo personaggio è basato in parte sulla vera storia di Edward Dunlop, Colonnello dell'Australian Army Medical Corp, e divenuto celebre nel suo Paese per aver aiutato i suoi commilitoni durante la prigionia. A lui sono state anche dedicate statue, una della quali all'Australian War Memorial di Canberra.
La guerra è un crogiolo di orrori, ma ciò che ha indelebilmente marchiato la memoria del popolo australiano è stata la prigionia nei campi di lavoro forzati, capeggiati dai giapponesi e situati fra Thailandia e Birmania. Lo scopo del Giappone, durante la Seconda guerra mondiale, infatti, era quello di costruire un'imponente ferrovia che costeggiasse il confine fra i due Paesi, per permettere il rifornimento delle truppe e di armi per la campagna di Birmania.
Una pagina talmente dolorosa per gli australiani, della quale ancora oggi i pochissimi superstiti e i loro discendenti sono restii a parlare, ma che ha dato un'ulteriore spinta per la formazione dell'identità nazionale del Paese dei canguri.
La mastodontica rete di binari si snoda attraverso la foresta tailandese per collegare Bangkok e Rangoon, ed è lunga 415 chilometri. Parte di della ferrovia è tutt'oggi utilizzata e fa parte della Linea per Nam Tok, ovvero la ferrovia di Stato tailandese.
Alla sua costruzione parteciparono operai giapponesi, civili e, ovviamente, prigionieri di guerra. Questi ultimi, però, lavoravano in condizioni disumane, vittime di malattie, denutrizione, torture e punizioni durissime. Una situazione analoga ai campi di lavoro nazisti.
Sebbene i dati siano tuttora incerti, pare che a perdere la vita durante la costruzione della ferrovia siano stati oltre 330mila prigionieri. Usando capelli umani come pennelli, succhi vegetali e sangue per dipingere e carta igienica come tela, gli artisti, a rischio della propria vita, hanno voluto immortalare quei tragici momenti. Tuttavia, grazie alle loro opere le vittime di quella carneficina hanno avuto giustizia, quando sono state utilizzate nei processi per crimini di guerra contro i comandanti giapponesi.
Quanto accaduto in quelle foreste, ben 111 fra ufficiali e alti comandanti dell'esercito giapponese sono stati processati: 32 le condanne a morte.
Come anticipato, sia il regista che lo scrittore vincitore del Man Booker Prize 2014 sono di origine australiana. Nella miniserie, quindi, si intrecciano le orribili esperienze vissute dal nonno di Kurzel, "Ratto di Tobruk" della Seconda guerra mondiale, dal padre di Flanagan stesso, sopravvissuto alla Ferrovia della morte e anche dal nonno dello sceneggiatore Shaun Grant, veterano di guerra.
I tre hanno collaborato strenuamente e con un affiatamento unico per mettere in scena il dolore provato dai membri delle loro stesse famiglie e da migliaia di altri loro compatrioti. Dunque, non è difficile immaginare che il pathos di cui ogni puntata si fa portatrice sia, in realtà, pura espressione della pesante eredità emotiva dei produttori.
Così come non è difficile supporre che molti dei fatti raccontati nelle 5 puntate non siano frutto di totale finzione, ma che affondino le radici, probabilmente, nei racconti familiari dei nonni di Kurzel e Grant e del padre di Flanagan.
Il tocco personalissimo dello sceneggiatore, del regista e dello scrittore, che ha aiutato nella realizzazione della serie, ha reso la storia ancora più prorompente, intensa e straziante. Secondo i critici, infatti, tutto ciò renderebbe "La strada stressa per il profondo Nord" un prodotto di potente emotività, capace di arrivare al livello di capolavori come "Gallipoli" di Peter Weir e "Breaker Morant" di Bruce Beresford.