20 Feb, 2025 - 15:37

"Ciao Bambino": splendido esordio per il regista Edgardo Pistone

"Ciao Bambino": splendido esordio per il regista Edgardo Pistone

 
"Ciao Bambino", recensione

Tra le case popolari del rione Traiano, a Napoli, ci sono quattro adolescenti, tutti amici, che negli anni hanno imparato a vivere con spensieratezza in mezzo alla brutalità della miseria come fanno i gatti randagi. Uno di loro è Attilio (Marco Adamo), il più intelligente, un bellissimo ragazzo di appena diciassette anni con gli occhi grandi e tristi. Sorride raramente, parla poco e custodisce in silenzio il suo cuore vivo e pulsante, trafitto dal peso di un dolore che non confessa mai a nessuno.

Il padre di Attilio è un giocatore compulsivo, passa giornate intere seduto su uno sgabello davanti alle slot machine in una squallida stanza lugubre nel retro di un bar, avvolto da una coltre di fumo proveniente dalle sigarette che stringe violentemente tra le labbra sottili come se in loro cercasse con disperazione uno scopo per vivere da succhiargli via. Questa dipendenza, simile a un cappio stretto intorno alla gola, gli ha già tolto il fiato e la libertà: è in debito con un boss di zona per una grossa somma di danaro che non riesce a restituire. Il figlio, con incredibile maturità che non dovrebbe possedere, si fa carico del padre andandolo a strappare a quelle macchinette infernali quando sparisce per giornate di fila.

Così, nel bel mezzo dell’estate, la mamma di Attilio decide di portare il marito dalla sorella di lei ad Ischia, trascinandolo con sé con lo stesso impeto improvviso del vento bollente dello scirocco. Il figlio, decidendo di rimanere da solo a casa, accetterà una proposta di lavoro per guadagnare qualche spicciolo. Dovrà fare da protettore a una ragazza ucraina, di nome Anastasia (Anastasia Kaletchuk), che lavora controvoglia facendo la prostituta. Tutte le notti le farà compagnia standosene seduto in una macchina parcheggiata in un campo sporco e abbandonato, controllando la situazione mentre lei intrattiene i clienti nelle loro auto.

Quel giovane acerbo, che sembra ancora un po’ bambino, si ritroverà addosso il peso di un’ennesima responsabilità troppo grande per due spalle così piccole, come na pazziella ‘n man’ ‘e criature. Ma anche Anastasia, ventiquattrenne, per quanto possegga già lo sguardo disincantato da donna adulta che ha visto palesarsi davanti a sé quanto sudicia e rivoltante può diventare l’indole maschile, è ancora decisamente troppo immatura. Notte dopo notte, avvicinandosi un passo alla volta come bestie impaurite, inizieranno a guardarsi con occhi diversi. Ognuno con le proprie afflizioni, tra noia esistenziale e dolore, si unirà all’altro in un groviglio di speranza e illusione. Ma c’è davvero possibilità di salvezza nella disperazione?

"Ciao Bambino", critica

Osservando gli occhi scuri e profondi di Edgardo Pistone ti sembra quasi di vedere chiara e nitida, come diapositive in un proiettore, la realtà cruda dei quartieri popolari di Napoli. È come se nel riflesso delle sue pupille esistesse un intero universo, stupendo e raccapricciante al tempo stesso. Ma è nella naturale dolcezza del suo sorriso che puoi scoprire tutta la grazia insita nel suo modo di guardare le cose, anche quelle più violente. Ed è esattamente questo che viene messo in scena nelle sue opere. Il regista partenopeo trentacinquenne, dopo aver già dato prova della sua bravura in precedenti cortometraggi, anch’essi in bianco e nero, ha recentemente debuttato col suo primo lungometraggio di finzione intitolato “Ciao Bambino”.

 Ambientato nel rione Traino, dove Pistone stesso è cresciuto, con un cast interamente di attori senza esperienza accademica, e con la partecipazione di suo padre nel ruolo del papà del protagonista, questo film non narra banalmente di una storia d’amore romantico, ma ci racconta l’attuale smarrimento esistenziale giovanile, mostrandoci i contesti di povertà e di criminalità che gravano ruotando intorno a essa. Come mai prima d’ora vivere alla giornata, senza inseguire uno scopo, cercando in continuazione di distrarsi come meglio si può per sfuggire all’appiattimento che porta con sé la noia del non sapere cosa fare di se stessi, sembra essere divenuto il comune denominatore che unisce i ragazzi provenienti da qualunque ceto sociale. La società non sembra essere più capace di fornire agli adolescenti gli strumenti per ipotizzare possibili direzioni da perseguire, per aiutarli a capire chi vogliono diventare da adulti. Pare quasi che gli abbiamo strappato la capacità di sognare e di immaginarsi in un futuro lavorativo. Ed è questo che poi, alla fine, racconta “Ciao Bambino”.

La scelta di girare sempre in bianco e nero, ha dichiarato Edgardo Pistone, è data dal voler creare uno spazio al di fuori del tempo e della quotidianità per dare rilevanza ai sentimenti dei personaggi. Un modo per non distogliere mai il focus dalle emozioni umane. Benché io sia una grandissima amante del cinema che ti destabilizza, facendoti del male in modo brutale, ho apprezzato molto la scelta di parlare del malessere e dell’oscenità che spesso la vita ci fa piombare addosso con estrema delicatezza. Ad esempio, il non farci vedere le scene di sesso a pagamento nella loro interezza, ma facendocele soltanto immaginare. Così anche l’orrore della morte. Che dire, un ottimo inizio che fa ben sperare in futuri capolavori. Tre virgola otto stelle su cinque.

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Marta Micales
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