Sono sempre più i lavoratori vittime di mobbing sul lavoro: comportamenti ostili, vessatori e persecutori da parte del proprio superiore o del proprio capo.
I lavoratori che ne sono vittima hanno il diritto ad agire in giudizio contro gli aggressori e, quando si verificano certe condizioni, richiedere un risarcimento per il danno subito.
Il datore di lavoro ha il diritto e il dovere di tutelare la salute psico fisica dei propri dipendenti, garantendo loro un ambiente di lavoro sicuro e sereno.
Il lavoratore vittima di mobbing può richiedere il trasferimento? In questo articolo, troverai la risposta, i casi e le applicazioni giuridiche.
Il mobbing sul lavoro è un insieme di comportamenti ostili, ripetuti e sistematici, messi in atto nei confronti di un lavoratore con lo scopo di isolarlo, umiliarlo o indurlo alle dimissioni. Si tratta di una forma di violenza psicologica che può avere gravi conseguenze sulla salute mentale e fisica della vittima, oltre a compromettere il clima aziendale.
Perché si possa parlare a tutti gli effetti di mobbing, devono essere presenti alcune condizioni ben precise:
Le accuse di mobbing sul luogo di lavoro rappresentano spesso il punto di partenza per affrontare conflitti interni tra colleghi.
Quando un dipendente denuncia comportamenti vessatori, il datore di lavoro ha l’obbligo di intervenire per tutelare il benessere psicofisico dei lavoratori e garantire un ambiente lavorativo sano.
Tuttavia, è fondamentale distinguere tra un effettivo caso di mobbing e altre forme di conflitto, come l’eristress, che richiedono interventi diversi.
In presenza di una denuncia per mobbing, il datore di lavoro deve analizzare con attenzione il contesto e le dinamiche aziendali, raccogliendo informazioni attendibili e oggettive.
Se la situazione configura effettivamente un caso di mobbing, è essenziale proteggere la vittima, sanzionare il responsabile e, se necessario, adottare misure organizzative come il trasferimento del mobber o, nei casi più gravi, il licenziamento disciplinare.
Licenziare o trasferire la vittima, al contrario, potrebbe risultare un atto discriminatorio o ritorsivo, e costituire una violazione degli obblighi di tutela a carico del datore di lavoro.
Nei casi in cui non sussistano i presupposti per configurare un vero e proprio caso di mobbing, il datore di lavoro può comunque intervenire per tutelare il clima aziendale.
Una possibile soluzione è il trasferimento per incompatibilità ambientale, finalizzato a separare fisicamente i dipendenti coinvolti nel conflitto e ristabilire un ambiente di lavoro sereno e produttivo.
Tale misura può essere applicata anche al lavoratore che ha presentato la denuncia, qualora emerga che egli stesso sia parte attiva nella conflittualità o se la sua permanenza continui a generare tensioni tra colleghi.
Naturalmente, il trasferimento deve essere disposto secondo criteri di ragionevolezza, ad esempio prevedendo una sede vicina a quella originaria, in modo da ridurre al minimo il disagio del lavoratore.
A differenza del mobbing, nell’eristress non si identifica una vittima vera e propria, poiché le responsabilità risultano più sfumate e distribuite.
Il mobbing rappresenta una seria violazione dei diritti del lavoratore e, per questo, è fondamentale identificarlo correttamente e distinguerlo da altri tipi di conflitto.
Il trasferimento del lavoratore vittima non è la soluzione automatica, ma può rappresentare una misura legittima solo se applicata con equilibrio, rispetto e proporzionalità, sempre nel rispetto della dignità del dipendente.
Il mobbing sul lavoro è una forma di violenza psicologica che può danneggiare gravemente il lavoratore: tutele disponibili e le soluzioni per affrontare il conflitto, incluso il trasferimento.