Nel diritto penale italiano, nessuno dovrebbe essere condannato se non “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Questo, infatti, è un principio cardine, nato per proteggere gli innocenti e garantire che la colpevolezza sia provata in modo chiaro, netto, senza zone d’ombra.
Eppure, nonostante questa regola solenne, gli errori giudiziari continuano a esistere nel nostro ordinamento, e rovinano vite, a volte, per sempre.
Alcuni casi finiscono sui giornali, altri restano nell’ombra. Il problema non è solo nella legge, ma in come viene applicata dai giudici: interpretazioni soggettive, carenze nelle indagini, pressioni mediatiche, fragilità umane. In un sistema complesso come quello penale, il “ragionevole dubbio” dovrebbe essere un argine. Ma non sempre riesce a fermare la macchina della giustizia quando prende la direzione sbagliata.
Il principio del “colpevole oltre ogni ragionevole dubbio” è uno dei pilastri fondamentali del diritto penale moderno, ed è espressamente riconosciuto anche nel sistema italiano (e non solo).
È sancito, in modo implicito ma sostanziale, dall’articolo 530, comma 2 del codice di procedura penale, il quale afferma che il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione quando manca, è insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste o che l’imputato lo ha commesso.
In altre parole, non basta che il giudice "creda" alla colpevolezza dell’imputato, ma deve essere convinto in modo pieno e razionale, senza dubbi fondati, della sua responsabilità.
Questo principio è stato rafforzato nel tempo dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che lo ha interpretato come un obbligo del giudice di motivare la propria decisione dimostrando l’assenza di incertezze logiche o probatorie.
La famosa sentenza n. 6682 del 2000, ad esempio, afferma che la formula dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” non è solo una formula etica o ideale, ma un criterio giuridico vincolante che serve a tutelare l’imputato da una condanna ingiusta.
Purtroppo la realtà processuale è più complicata. I giudici sono esseri umani, e l’accertamento penale non è una scienza esatta.
Ci sono casi – anche molto noti – in cui il principio del dubbio è stato ignorato o male applicato. Basti pensare alla vicenda di Enzo Tortora, il noto presentatore televisivo arrestato nel 1983 sulla base di dichiarazioni di pentiti poi rivelatisi inattendibili.
Condannato in primo grado, fu poi assolto in appello, ma solo dopo aver vissuto una drammatica esperienza personale e pubblica. Quel caso è ancora oggi un simbolo dell’importanza del “dubbio” come strumento di civiltà giuridica.
Il problema, spesso, è che i processi si reggono su elementi indiziari, su testimonianze incerte, su interpretazioni soggettive da parte dei magistrati.
Quando l’impianto accusatorio è forte, ma non solido, il rischio è che il giudice sia più influenzato da ciò che appare “plausibile” piuttosto che da ciò che è provato realmente, senza incertezze.
E allora il “dubbio” non viene trattato come un limite invalicabile, ma come un dettaglio trascurabile.
In un sistema davvero giusto, sarebbe meglio assolvere un colpevole che condannare un innocente. Ma non sempre la giustizia lo ricorda.
Storie come quelle di Giuseppe Gulotta, che ha passato 22 anni della sua vita dietro le sbarre per un crimine che non aveva commesso, lasciano un segno profondo. E non è un caso isolato.
Pensiamo anche a Raffaele Sollecito e Amanda Knox, la cui gioventù è stata segnata da un lungo calvario giudiziario prima dell'assoluzione definitiva nel caso dell'omicidio di Meredith Kercher.
E come dimenticare Francesco Zuncheddu, un pastore sardo la cui esistenza è stata stravolta da una condanna per duplice omicidio: ben 32 anni trascorsi in carcere da innocente, fino a quando la prova del DNA non ha finalmente ristabilito la verità.
E ancora Angelo Massaro, che ha vissuto l'incubo della prigione per 21 anni, prima che la Corte di Cassazione annullasse la sua condanna.
Questi non sono semplici numeri o casi di cronaca. Sono esistenze spezzate, reputazioni infangate, tempo irrimediabilmente perso che nessuno potrà dar loro indietro.
Ogni singola storia rappresenta un fallimento del sistema, un errore giudiziario che ci fa avere dubbi sulla giustizia del nostro Paese e ci fa sentire insicuri.