È in corso da alcune settimane una contrapposizione fra il sistema universitario statunitense, in prima istanza università dal prestigio internazionale come Harvard e la Columbia University, e l’amministrazione Trump.
Lo stesso Tycoon è schierato in prima persona contro università come quelle su ricordate, accusate di essere in molte componenti studentesche espressione di tendenze politiche estremiste, antisemite e simpatizzanti di Hamas e dell’estremismo palestinese.
Il governo trumpiano ha chiesto a tutte le università l’elenco degli studenti stranieri iscritti, per avviare una vera e propria indagine al fine di verificare le idee politiche degli iscritti.
Harvard si è rifiutata di fornire tali informazioni e per rappresaglia il governo ha deciso di vietare ai circa settemila studenti non cittadini americani di continuare a frequentare tale università e ha pure minacciato una drastica riduzione dei finanziamenti pubblici ad Harvard e alle università che non si adegueranno alle richieste dell’amministrazione Trump.
Questa situazione è anomala nel contesto liberal-democratico, dove le università, soprattutto quelle pubbliche, hanno sempre avuto un alto livello di autonomia e libertà, in tutte le loro componenti. Ne parliamo con il prof. Enrico Ferri, docente di Filosofia del Diritto all’Unicusano.
D) Professor Ferri, la polemica di Trump contro Harvard ed altre università statunitensi viene presentata come una battaglia contro l’estremismo e l’antisemitismo. È convincente questa narrazione?
R) Questa è la motivazione di facciata, di per sé discutibile. Una critica, anche dura, all’attuale politica del governo Netanyahu non coinvolge tutta Israele e ancor meno tutti gli ebrei. Come è possibile tacciare di antisemitismo la legittima protesta di giovani che denunciano l’uso quotidiano e sistematico della violenza contro scuole, ospedali, bambini, persone indifese costrette a vivere fra le macerie, senza cibo, senza medicine, senza soccorsi? Una persona civile, un giovane di Harvard o di qualsiasi parte del globo con chi dovrebbe solidarizzare? Con le vittime o con i carnefici? Inoltre, dietro la posizione di Trump sembrano esserci anche motivazioni più prosaiche: Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi, in un libro appena edito per Rizzoli, “Quando il mondo se ne frega”, ha denunciato gli interessi di aziende ed enti internazionali coinvolti, a partire da molte industrie di armi vendute ad Israele.
D) Anche gli Israeliani hanno avuto le loro vittime, più di mille giovani uccisi da Hamas, senza considerare stupri, violenze e rapimenti ancora in corso.
R) Dopo due anni di invasione di Gaza da parte di Israele solo una persona poco onesta intellettualmente potrebbe presentarla come una rappresaglia. La questione israelo-palestinese non nasce a Gaza, non si crea due anni fa. È evidente che l’obiettivo di Israele non sia tanto la rappresaglia quanto la pulizia etnica, cioè di “liberare” Gaza dai Palestinesi. Trump è stato esplicito al riguardo.
D) A suo avviso qual è l’obiettivo di Trump nel suo attacco ad Harvard e al sistema universitario nel suo insieme? Perché vuol colpire soprattutto gli studenti stranieri e ridurre i finanziamenti del Governo alle università non in linea?
R) Le università sono istituzioni che vedono la presenza di giovani e giovanissimi, spesso con motivazioni ideali tipiche delle loro età. Acquisiscono inoltre una formazione superiore e spesso sono coinvolti in prima persona nelle vicende politiche e sociali del loro tempo, fattori che li rendono ancora più “pericolosi”. Le università spesso sono state e sono all’avanguardia non solo nella ricerca e nelle scienze, ma pure sul piano delle rivendicazioni sociali e dei diritti civili. Per ogni governo autoritario il libero pensiero, la critica sul piano politico, le rivendicazioni libertarie, la difesa dei diritti umani, sessuali e sociali sono visti come una minaccia e un potenziale ostacolo alle sue politiche. L’obiettivo di Trump è quello di riportare all’ordine, il suo ovviamente, gli atenei della Confederazione, su posizioni filo-governative, o comunque a lui non ostili.
D) Perché se la prende innanzitutto con gli studenti stranieri?
R) Perché sono i più vulnerabili, basta la non concessione del visto per motivi di studio e la loro avventura a stelle e strisce ha termine. In seconda istanza, nel caso di Harvard, la perdita di quasi settemila immatricolazioni, significherebbe il venir meno di circa 700 milioni di dollari. Perdita che si sommerebbe alla drastica riduzione dei fondi governativi.
D) Trump, inoltre, sembra avere nel mirino non solo Harvard, ma tutti i possibili studenti stranieri: per avere il visto per gli USA verranno valutate anche le loro idee e posizioni politiche. Quali sarebbero le conseguenze di una simile scelta.
R) Assai negative, sotto diversi profili. La limitazione dell’accesso all’alta formazione ha sempre conseguenze negative, anche per la ricerca e il sistema economico americano, che in genere attrae ed impiega gli studenti più brillanti. Senza considerare la perdita per le università americane di centinaia di milioni di dollari dovuta alla drastica riduzione degli iscritti stranieri. Ma le conseguenze negative per l’economia americana potrebbero essere anche peggiori e di molto.
D) In che senso?
R) Negli USA il settore educativo e sanitario occupa 5,5 ml di lavoratori immigrati, pari al 18,4 % di tutti i dipendenti nati all’estero nel 2023. Il 25% di medici sono stranieri, in alcuni Stati (New York) il 35%. Un medico laureato all’estero deve completare un corso di specializzazione presso un’università americana (4-5 anni). Se questo nuovo screening, che si vuole adottare per le iscrizioni all’università degli studenti stranieri, si estendesse anche a eventuali medici e specializzandi, il sistema sanitario americano verrebbe privato di ingenti risorse umane e rischierebbe di collassare.
D) Ma il governo USA non ha il diritto di destinare i fondi alle università secondo i criteri che preferisce?
R) Le università non sono “aziende” come altre, soprattutto nei sistemi democratici. In qualsiasi paese rappresentano il principale sistema di alta formazione e di ricerca in tutti gli ambiti dello scibile umano: dalle scienze alle discipline umanistiche, dalla fisica all’archeologia, dall’economia alla geologia. Buona parte della futura classe dirigente si forma nelle aule universitarie, buona parte dei risultati della ricerca in campi fondamentali come la medicina, la meccanica e la telematica provengono dalle università. Tradizionalmente le Università sono un luogo di libero dibattito, di confronto, di sperimentazione, di pluralismo. La ricerca e le sue conquiste sono spesso il frutto del confronto fra idee diverse, a volte alternative. In democrazia questa è la regola, negli USA il primo emendamento del Bill of Rights proibisce espressamente di limitare “la libertà di parola o stampa; o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente”. Sono principi alla base del sistema democratico americano, non di questo o quel partito.
D) Quindi, a suo avviso, il governo americano dovrebbe finanziare “a pioggia” tutti gli atenei del Paese?
R) In ogni caso si tratterebbe di sostenere la formazione e la ricerca. In seconda istanza, mi parrebbe lecito, entro certi limiti, “premiare” semmai quegli atenei che si sono distinti per il livello della loro ricerca. Ma questo già avviene nei sistemi universitari di molti paesi. Occorre pure ricordare che il Governo Usa, come qualsiasi governo, non assegna alle università fondi “governativi”, ma risorse della nazione e dei contribuenti.
D) A suo avviso le università avrebbero solo diritti, ma non limiti da rispettare ed obiettivi di cui dar conto?
R) Le Università, non solo quelle americane, hanno il dovere di formare in modo adeguato le nuove generazioni e sviluppare una ricerca libera e feconda. Quali dovrebbero essere i limiti delle Università? Di attenersi alla politica del governo di turno? E semmai, dopo qualche anno, cambiarla per seguire le indicazioni della nuova Amministrazione? Sarebbe la fine della libera ricerca e di una formazione ispirata a principi democratici.