06 Jun, 2025 - 12:01

IMU, TARI e Bollo Auto: quando scatta la prescrizione e non si devono più pagare

IMU, TARI e Bollo Auto: quando scatta la prescrizione e non si devono più pagare

IMU, TARI e  bollo auto sono i tre tributi più odiati dagli italiani. Spesso trascurati o dimenticati, rappresentano un impegno annuale per milioni di contribuenti. Ma cosa succede se non vengono pagati? Dopo quanti anni scatta la prescrizione e, quindi, l’impossibilità da parte della pubblica amministrazione di esigerli?

La normativa distingue chiaramente tra tributi erariali e tributi locali. I primi, come l’IRPEF, sono di competenza dello Stato e si prescrivono solitamente in dieci anni. I secondi, come l’IMU e la TARI gestiti dai Comuni, o il Bollo auto attribuito alle Regioni, hanno invece un termine di prescrizione più breve.

Chi dimentica o non riesce a pagare uno di questi tributi, può ancora ricevere un avviso di accertamento anche a distanza di anni.

Tuttavia, oltre un certo limite temporale, il debito si estingue. Ma qual è esattamente questo limite? Quando un contribuente può ritenere definitivamente chiusa la questione? E quali strumenti ha a disposizione per far valere la prescrizione?

Prima di scoprirlo vi lasciamo alla visione del video YouTube de Il Sole 24 Ore sull'acconto IMU in scadenza il 16 giugno.

IMU e TARI, quanto dura l'obbligo di pagamento?

L’IMU e la TARI sono imposte comunali che vanno a finanziare direttamente le casse degli enti locali. I Comuni possono gestire in autonomia la riscossione, oppure delegare il compito a società terze. La normativa di riferimento è chiara: il termine di prescrizione per questi tributi è di cinque anni.

L’articolo 1, comma 161, della legge n. 296 del 2006, stabilisce che l’avviso di accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento. Oltre quel termine, l’ente locale perde il diritto di riscuotere il tributo.

Anche il codice civile conferma questa regola. L’articolo 2948, comma 1, n. 4, prevede la prescrizione quinquennale per i crediti che derivano da obbligazioni con cadenza annuale o inferiore. Rientrano in questa categoria sia l’IMU che la TARI, versati periodicamente dai cittadini.

Facciamo un esempio concreto: se un contribuente non ha pagato l’IMU del 2021, il Comune ha tempo fino al 31 dicembre 2026 per notificargli l’accertamento. Trascorso questo termine, il tributo si prescrive e non è più dovuto. Pertanto, nel 2025 non si può più esigere il pagamento relativo all’anno 2019, a meno che non siano già stati notificati solleciti o avvisi bonari che interrompono la prescrizione.

Stesso discorso vale per la cartella esattoriale. Dopo l’avviso di accertamento, l’ente ha altri 5 anni di tempo per richiedere il pagamento tramite cartella. Se non agisce entro questo periodo, il credito si estingue definitivamente.

Bollo auto,  prescrizione più breve per la tassa automobilistica

Il bollo auto segue una logica simile ma con termini ancora più stretti. A gestirlo non sono i Comuni, ma le Regioni. Anche in questo caso, il mancato pagamento può essere contestato, ma il termine di prescrizione è fissato in tre anni.

Il termine decorre dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il versamento. Ad esempio, se il bollo del 2023 non è stato pagato, la Regione può notificare un avviso di accertamento entro il 31 dicembre 2026. Dopo questa data, il diritto si estingue.

La notifica della cartella esattoriale deve avvenire entro tre anni dalla data dell’avviso di accertamento, pena la perdita della possibilità di recupero. Anche in questo caso, eventuali solleciti, ingiunzioni o atti interruttivi interrompono il termine prescrizionale, che ricomincia a decorrere dal giorno della notifica.

È importante sottolineare che la prescrizione non è automatica. Deve essere eccepita dal contribuente, che ha il dovere di attivarsi per farla valere.

Come far valere la prescrizione di IMU, TARI e bollo auto

Quando un avviso di accertamento viene notificato oltre i termini previsti dalla legge, il contribuente può invocare la prescrizione per bloccare la riscossione del tributo.

Per farlo, è necessario impugnare l’atto entro 60 giorni, presentando ricorso al Tribunale tributario provinciale.

Tale nuova denominazione ha sostituito, dal 2023, le vecchie Commissioni tributarie, in attuazione della riforma della giustizia tributaria (D.Lgs. 175/2022). Il ricorso è uno strumento formale e deve essere presentato con il supporto di un legale o di un consulente fiscale.

In alternativa, si può tentare una strada meno onerosa e più veloce: l’istanza di autotutela. In questo caso, il contribuente chiede all’ente impositore l’annullamento dell’atto per evidente illegittimità, motivata dalla scadenza dei termini. Il Comune, per IMU e TARI, e la Regione, per il bollo auto, possono decidere autonomamente di annullare l’atto se riscontrano fondati elementi di illegittimità.

Tuttavia, se non si presenta ricorso nei termini, l’atto impositivo diventa definitivo, anche se illegittimo. Da quel momento non può più essere impugnato né contestato.

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