Billy Joel non ha mai nascosto le ombre che hanno accompagnato la sua brillante carriera. Ma nel documentario "Billy Joel: And So It Goes", presentato in anteprima il 4 giugno al Tribeca Festival di New York, il leggendario cantante apre il cuore come mai prima d’ora, rivelando due tentativi di suicidio e un periodo segnato da colpa, solitudine e disperazione.
Questo il trailer del documentario:
A innescare la crisi fu una relazione amorosa nata in circostanze complicate: Joel si era innamorato di Elizabeth Weber, moglie del suo migliore amico e collega nella band Attila, Jon Small: "Mi sentivo un distruttore di famiglie", confessa oggi il cantante di "Piano Man". Un dolore così profondo da portarlo a pensare di "farla finita".
Ma cosa accadde davvero in quegli anni bui? E com'è riuscito Joel a ritrovare la forza di vivere e di scrivere alcuni dei suoi brani più iconici?
All’inizio degli anni '70, Billy Joel e Jon Small erano inseparabili, compagni d’avventura nella band hard rock Attila, e coinquilini nella stessa casa insieme a Elizabeth Weber, moglie di Small, e al loro figlio. In un ambiente così intimo, la vicinanza tra Billy ed Elizabeth si trasformò, lentamente, in qualcosa di più.
Un'ammissione difficile e sofferta di Joel all’amico. Fu la fine della band, dell’amicizia e della serenità. Small reagì con rabbia, come era prevedibile. "Mi ha tirato un pugno, che mi meritavo", racconta Joel nel documentario. Ma non fu solo una rissa. Fu un terremoto emotivo che lo lasciò senza casa, senza lavoro, e con un senso di colpa che lo consumava.
Elizabeth se ne andò, Joel cadde in una spirale autodistruttiva fatta di alcol, depressione e notti passate a dormire nei lavatoi pubblici. "Mi sembrava che il domani sarebbe stato uguale a oggi, e oggi era una merda", dice con crudezza. In quel momento, la musica sembrava lontana anni luce.
Il primo tentativo fu silenzioso e devastante. Joel prese un’intera confezione di sonniferi, datagli dalla sorella Judy, all’epoca assistente medica. Cadde in coma per giorni. "Quando andai a trovarlo in ospedale, era bianco come un lenzuolo. Pensai di averlo ucciso io", racconta Judy con la voce rotta.
Al risveglio, invece di sentirsi sollevato, Joel pensò: "La prossima volta lo farò meglio". Quel pensiero lo portò al secondo gesto: bevve una bottiglia di Lemon Pledge, un prodotto per la pulizia. Fu proprio Jon Small, l’amico tradito, a portarlo in ospedale e a salvarlo.
"Anche se la nostra amicizia era a pezzi, Jon mi ha salvato la vita", ammette oggi Billy. E Jon, nel documentario, offre una riflessione disarmante: "Penso che Billy stesse così male perché sapeva di avermi ferito. E mi voleva troppo bene per sopportarlo".
Dopo il secondo tentativo, Joel venne ricoverato in un reparto psichiatrico. Un’esperienza breve, ma che segnò l’inizio di un percorso di guarigione. "Puoi usare tutto questo dolore per scrivere musica", gli disse qualcuno. E Joel lo fece.
Pochi anni dopo, nel 1973, uscì "Piano Man", l’album che lo avrebbe consacrato. E nel frattempo, paradossalmente, Joel ed Elizabeth tornarono insieme: si sposarono nel '73, anche se il matrimonio durò meno di dieci anni.
Oggi Billy Joel guarda al passato con lucidità. Non cancella nulla, né giustifica i suoi errori, ma ha trovato nella musica una forma di espiazione e salvezza. Il documentario, in onda su HBO a luglio, promette di raccontare "non solo il mito, ma soprattutto l’uomo" dietro le hit che hanno segnato intere generazioni.