Il caso Garlasco torna sotto i riflettori, ma questa volta non per una nuova svolta investigativa, bensì per un clamoroso vuoto probatorio che rischia di paralizzare l’ultima inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi.
A distanza di quasi diciotto anni dal delitto, la scomparsa dei reperti chiave – dal DNA sotto le unghie della vittima al pigiama insanguinato, fino al celebre frammento d’intonaco con l’impronta numero 33 – getta un’ombra pesante sulla possibilità di accertare la verità, soprattutto in relazione al nuovo indagato Andrea Sempio.
L’inchiesta giornalistica de Il Messaggero ha svelato che i principali reperti raccolti sulla scena del crimine sono oggi irreperibili. Tra questi, il materiale genetico trovato sotto le unghie di Chiara Poggi, considerato dagli esperti la “prova regina” per un eventuale confronto con il DNA di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima e finito recentemente sotto la lente della Procura di Pavia.
Ma non solo: mancano anche il pigiama della ragazza, su cui era stata documentata fotograficamente un’impronta, e il frammento d’intonaco con la famosa impronta 33, attribuita proprio a Sempio da una delle ultime perizie.
Secondo le ricostruzioni, questi reperti sarebbero stati distrutti dopo la condanna definitiva di Alberto Stasi nel 2015, quando nessuno ipotizzava una possibile riapertura del caso. La prassi, in assenza di prescrizioni specifiche, avrebbe portato allo smaltimento di materiali che oggi sarebbero stati fondamentali per nuove analisi genetiche e comparative.
Nonostante l’assenza del campione fisico, i periti della Procura hanno rianalizzato i dati raccolti nei primi esami forensi, utilizzando strumenti statistici avanzati e software di ultima generazione come Y-Str Mixture Calculation.
Secondo questi calcoli, il DNA trovato sotto le unghie di Chiara sarebbe da 476 a 2.153 volte più compatibile con il profilo genetico di Andrea Sempio rispetto a un individuo ignoto.
Tuttavia, senza il materiale originale, ogni nuova perizia si riduce a una valutazione statistica su dati passati, senza possibilità di verificare eventuali errori, contaminazioni o manipolazioni successive.
A complicare ulteriormente il quadro, le nuove analisi con l’ausilio dell’intelligenza artificiale hanno individuato anche tracce di DNA maschile non attribuibili né a Stasi né a Sempio, alimentando dubbi sull’eventuale contaminazione della scena del crimine, forse da parte di operatori intervenuti dopo il delitto.
Non è neppure certo se le tracce di DNA fossero sopra o sotto le unghie della vittima, dettaglio cruciale per stabilire un contatto violento con l’aggressore.
Un altro elemento che avrebbe potuto rafforzare il quadro accusatorio contro Andrea Sempio è la cosiddetta impronta 33, rilevata su un frammento d’intonaco vicino al cadavere di Chiara Poggi.
Solo di recente, grazie a una perizia basata sul confronto fotografico, questa impronta è stata attribuita a Sempio.
Tuttavia, anche in questo caso il reperto fisico risulta introvabile: potrebbe essere stato distrutto oppure consumato durante le analisi scientifiche, e non vi sono certezze sulla sua effettiva esistenza negli archivi del Ris di Parma.
Inoltre, la difesa di Sempio sottolinea come la sua presenza nella villetta fosse normale, essendo amico di Marco Poggi, e che la datazione dell’impronta resta impossibile: potrebbe essere stata lasciata prima, durante o dopo il delitto.
La nuova inchiesta, che avrebbe dovuto fare chiarezza su eventuali responsabilità di Andrea Sempio, rischia dunque di arenarsi sul nascere.
Senza la “prova regina” del DNA sotto le unghie e senza la possibilità di riesaminare fisicamente gli altri reperti, ogni accertamento si basa su dati storici, fotografie e valutazioni statistiche, con margini di errore e incertezze difficilmente colmabili.
La difesa di Alberto Stasi, unico condannato in via definitiva, ha chiesto di estendere i prelievi di DNA anche a membri delle forze dell’ordine che potrebbero aver contaminato la scena, mentre la famiglia Poggi continua a chiedere verità e giustizia, partecipando come parte offesa a ogni fase della nuova indagine.
Resta il dramma di un caso che, a quasi vent’anni dai fatti, sembra destinato a rimanere irrisolto, vittima non solo di errori giudiziari, ma anche di una gestione superficiale delle prove materiali.
Il delitto di Garlasco, insomma, rischia di trasformarsi nell’ennesimo mistero italiano senza soluzione, dove la scienza forense, privata dei suoi strumenti fondamentali, può offrire solo ipotesi e probabilità, ma non certezze. Altro che DNA: senza i reperti, la verità rischia di restare per sempre sepolta insieme a Chiara Poggi.