La storia di Eva Mikula è una delle più controverse e drammatiche legate alla cronaca nera italiana degli anni Novanta. Ex compagna di Fabio Savi, uno dei tre fratelli a capo della banda della Uno Bianca, Eva Mikula è diventata figura chiave non solo come testimone, ma anche come protagonista involontaria di un incubo che ha segnato la sua vita e quella di molte vittime. La sua vicenda personale si intreccia con la storia criminale di uno dei gruppi più sanguinari del dopoguerra italiano, tra fughe, violenze, rivelazioni e processi che l’hanno vista prima protagonista e poi vittima di pregiudizi e accuse infondate.
Eva Mikula è nata il 18 agosto 1975, in una famiglia contadina di origine ungherese trapiantata in Transilvania, nella poverissima cittadina di Baia Mare, Romania. La sua infanzia è stata segnata dalla dittatura di Nicolae Ceausescu, da un padre autoritario e violento, e da un fratello maggiore che l’ha violentata per anni. Queste esperienze traumatiche hanno spinto Eva, ancora minorenne, a fuggire di casa, portando con sé solo pochi abiti e il suo inseparabile violino.
Dopo la fuga, Eva si è rifugiata in Ungheria, a Budapest, dove ha trovato lavoro come lavapiatti e poi cameriera in una tavola calda. Qui, nel febbraio 1992, all’età di appena 16 anni, ha conosciuto Fabio Savi, un camionista italiano molto più grande di lei, che si sarebbe poi rivelato uno dei capi della banda della Uno Bianca. Eva si è trasferita in Italia con Savi nell’aprile dello stesso anno, vivendo inizialmente a Torriana, vicino Rimini, in condizioni di isolamento e clandestinità.
Oggi Eva Mikula vive tra l’Italia e Londra, ha due figli e cerca di ricostruirsi una vita. Non è noto se abbia un marito.
La vita privata di Eva Mikula è stata segnata da un susseguirsi di violenze, solitudine e paure. Dopo il trasferimento in Italia, Eva si è ritrovata a vivere in un piccolo monolocale, spesso lasciata sola da Fabio Savi, che le impediva di uscire o di fare amicizie, rendendola di fatto prigioniera della sua relazione. La giovane ragazza, senza documenti e senza possibilità di lavoro, ha trascorso le sue giornate in casa, guardando la televisione e aspettando il ritorno del compagno.
Il rapporto con Fabio Savi, inizialmente caratterizzato da un sentimento di ammirazione e amore, si è presto trasformato in un incubo fatto di botte, minacce e violenze fisiche. Eva ha subito lesioni gravi, come vertebre incrinate, e ha vissuto in un costante stato di paura, soprattutto quando ha iniziato a scoprire la vera identità del suo compagno e le sue attività criminali. Nonostante la giovane età e la mancanza di protezione, Eva ha cercato più volte di ribellarsi e di allontanarsi da Savi, arrivando anche a rubargli del denaro per scappare, ma senza successo.
Dopo la cattura della banda, Eva Mikula è stata sottoposta a interrogatori estenuanti, durante i quali ha raccontato tutto quello che sapeva sulla banda della Uno Bianca. Ha vissuto per un periodo sotto protezione, nascosta in un appartamento del Sistema centrale operativo a Roma, ma in seguito è stata abbandonata dalle istituzioni, senza protezione, anonimato o risarcimento.
Il ruolo di Eva Mikula nell’inchiesta sulla banda della Uno Bianca è stato fondamentale e, allo stesso tempo, controverso. Quando, nel novembre 1994, Fabio Savi è stato arrestato mentre cercava di fuggire dall’Italia portando con sé Eva, la polizia italiana non sapeva ancora di aver catturato uno dei capi della banda. Fu proprio Eva, durante un interrogatorio notturno a Rimini, a rivelare che Fabio e Roberto Savi erano i componenti della Uno Bianca, fornendo dettagli precisi sulle loro attività criminali e sulle armi utilizzate.
Eva Mikula ha collaborato con la giustizia per mesi, riempiendo pagine di verbali e aiutando gli inquirenti a ricostruire la storia della banda, che tra il 1987 e il 1994 aveva ucciso 24 persone e ne aveva ferite più di 100. La sua testimonianza è stata decisiva per smantellare il sistema di omertà che circondava i Savi e per far luce sui depistaggi messi in atto da alcuni appartenenti alle forze dell’ordine.
Tuttavia, la collaborazione di Eva Mikula non è stata sempre riconosciuta. Dopo essere stata inizialmente considerata una testimone chiave, è stata trasformata in imputata in alcuni processi, accusata di complicità con la banda, ma è stata sempre assolta in ogni grado di giudizio, con formula piena e definitiva. Le accuse nei suoi confronti sono state considerate infondate e strumentali, spesso mosse dagli stessi Savi come vendetta per la sua collaborazione con la giustizia.
Nel 2021, Eva Mikula ha pubblicato il libro autobiografico “Vuoto a perdere. Verità nascoste sulla banda della Uno Bianca”, scritto insieme al giornalista Marco Gregoretti, in cui racconta la sua versione dei fatti e rivela aspetti inediti della vicenda giudiziaria. Il libro ha suscitato polemiche e ha portato alla luce verità nascoste, come il ruolo decisivo di Eva nella cattura della banda e le difficoltà incontrate dopo la fine del processo.