Tra il 1987 e il 1994 ha terrorizzato l'Emilia Romagna e parte delle Marche, portando a segno centinaia di colpi tra rapine, assalti e omicidi. Con 23 vittime accertate e più di 100 feriti, la Banda della Uno Bianca è diventata il simbolo di una criminalità feroce e spietata, resa ancora più inquietante dal fatto che i suoi componenti erano quasi tutti agenti di polizia. Il processo a loro carico si è concluso con condanne pesanti, ma, a distanza di oltre trent'anni, non tutti sono ancora dietro le sbarre.
Roberto, Fabio e Alberto Savi, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli. Erano loro i sei componenti della famigerata Banda della Uno Bianca, dal nome del principale mezzo usato per colpire: una Fiat Uno bianca, facilmente confondibile con le tante diffuse all'epoca. Tutti, ad eccezione del secondo, erano poliziotti in servizio alla Questura di Bologna o presso il corpo ausiliario.
Tutti, al termine del processo a loro carico, sono stati condannati per decine di reati gravissimi. Roberto Savi, che era considerato il capo del gruppo, i due fratelli Fabio e Alberto Savi e Marino Occhipinti, all'ergastolo. Pietro Gugliotta a 28 anni di carcere, poi ridotti a 18. Luca Vallicelli, componente solo "marginale", a 3 anni e 8 mesi con un patteggiamento.
Negli ultimi anni, alcuni di loro sono tornati al centro dell'attenzione per aver beneficiato di misure alternative. Il caso più discusso è stato quello di Marino Occhipinti, che, dopo aver scontato 24 anni di reclusione, nel 2018 ha ottenuto la libertà condizionale.
Una decisione, quella presa dal Tribunale di Sorveglianza di Padova, che ha profondamente indignato i familiari delle vittime, sollevando le polemiche. Nel 2022, l'uomo è poi rifinito dietro le sbarre per maltrattamenti. Vicenda per cui nel 2023 ha patteggiato due anni.
Gugliotta e Vallicelli sono già da tempo tornati in libertà. Dei fratelli Savi, solo il più giovane, Alberto, ha avuto accesso ai permessi premio. A Fabio e Roberto, entrambi detenuti a Bollate, non sono stati mai concessi benefici.
I sei si sono macchiati in soli sette anni di centinaia di azioni criminali pianificate con estrema freddezza e spietatezza. Tra le più significative, non si può non citare la strage del Pilastro di Bologna, costata la vita ai tre giovani carabinieri Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, uccisi a colpi di arma da fuoco mentre erano in servizio.
Una strage che ancora oggi viene commemorata con iniziative pubbliche dalle famiglie delle vittime, che - a distanza di anni - non si sono arrese alla ricerca della verità. Alcune di loro, assistite dagli avvocati Alessandro Gamberini e Luca Moser, hanno recentemente presentato un esposto per chiedere la riapertura delle indagini.
L'obiettivo? Chiarire una volta per tutte se dietro il gruppo non ci fossero disegni di tipo terroristico-eversivo e se, di conseguenza, i suoi membri non siano stati aiutati o coperti. Si spiegherebbe così l'apparente mancanza di un movente solido - soprattutto economico - dei sei.
La Procura di Bologna sta lavorando. Oltre a risentire diversi testimoni dell'epoca, sta rianalizzando vecchi reperti con strumentazioni scientifiche e tecnologie forensi moderne e avanzate e svolgendo nuovi esami su impronte e tracce di Dna.
Potrebbe essere l'ultima occasione di chiarire una vicenda per certi versi ancora misteriosa. Troppe le omissioni, le stranezze, le piste abbandonate. Su cui si potrebbe finalmente accendere una luce.
Il servizio realizzato dalla trasmissione Rai "FarWest" con immagini di repertorio dopo l'apertura delle nuove indagini, 6 maggio 2024.