11 Jun, 2025 - 17:22

Il Referendum 2025 visto dagli USA

Il Referendum 2025 visto dagli USA
Lo Stato Italiano spende una somma consistente per ogni tornata elettorale, che varia a seconda del livello (locale, regionale, nazionale). La spesa è destinata a varie voci, come la logistica elettorale, le attività di informazione, il personale addetto ai seggi, il conteggio delle schede e l'organizzazione dei ballottaggi. 
 
Per ogni elezione politica / referendum, lo Stato spende circa 400 milioni di euro.
 
I cittadini italiani residenti all’estero ed iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti Estero) sono 6.524.463, pari al 9,88% dell'intera popolazione italiana.  Essi possono esercitare il diritto di voto per le elezioni dei membri della Camera e del Senato, per i referendum abrogativi e costituzionali di cui agli artt. 75 e 138 della Costituzione e per le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia. 
Il voto all’estero non è invece previsto per l’elezione dei Consigli regionali, comunali e provinciali, né per i referendum locali.
 
Prima di ogni elezione, i servizi consolari spediscono a più di 6 milioni di cittadini italiani residenti all’estero, le schede elettorali e le spiegazioni per la compilazione, via posta regolare. Le schede, dopo compilazione, andranno rispedite al mittente in una busta previamente affrancata fornita dal consolato stesso.
Lo spoglio dei voti A.I.R.E. avviene in Italia, insieme allo spoglio delle schede votate nel territorio nazionale. Le schede A.I.R.E., una volta spedite dagli Uffici consolari, vengono inviate in Italia per essere conteggiate insieme agli altri voti. 
 
 
 
Assumendo che vi sia un costo (calcolato per difetto) di +/- 4€/cittadino (stampa di tutte le schede, costi affrancatura, costi per spedizione posta diplomatica), la spesa totale è di circa 25 milioni di euro.  Da cittadino italiano residente all’estero mi chiedo se non si possa utilizzare un metodo meno dispendioso, ben consapevole che questa cifra, anche se ripetuta nel tempo, è relativamente modesta rispetto al totale.
 
Le opzioni sembrano limitate. Il voto elettronico on line non è, oggi, una valida alternativa. Diversi paesi hanno sperimentato approcci elettronici, interrompendoli a causa di difficoltà o preoccupazioni relative alla sicurezza e all’affidabilità. Il voto elettronico richiede inoltre investimenti periodici per l'aggiornamento delle apparecchiature, nonché spese annuali per manutenzione, sicurezza e forniture.
 
I consolati potrebbero però quantomeno spedire le schede via posta elettronica, visto che la stragrande maggioranza degli iscritti all’AIRE fornisce il proprio indirizzo di posta elettronica. In alternativa il singolo cittadino potrebbe scaricare i documenti direttamente da internet, sul sito consolare.  Sarebbe poi compito del cittadino spedire, a proprie spese, al consolato le schede compilate. Meno di 1 euro in affrancatura valgono ben la possibilità di votare.  Ovviamente coloro che non hanno un computer o posta elettronica potranno richiedere il materiale necessario via posta regolare. 
 
Lo spoglio potrebbe poi essere effettuato dal personale del consolato stesso, in modo da evitare i costi di posta diplomatica per il trasferimento delle schede in Italia.  Questa procedura non dovrebbe essere espletabile senza particolari difficoltà in quanto la mole di schede ricevute sarà relativamente più esigua rispetto al numero di aventi diritto al voto.  Infatti, molto basso è il tasso di affluenza: mediamente il 35,26% nelle elezioni politiche, il 20,17% nelle elezioni europee e il 20,92% nei referendum. Ad esempio, al 30 giugno 2024, il numero di cittadini italiani iscritti AIRE negli Stati Uniti era di 366.972. Questa cifra si suddivide in 10 distretti consolari.
 
Sulla partecipazione al voto, la situazione non è molto dissimile in Europa:  nell ’ultima tornata elettorale per il Senato nella Circoscrizione Europa hanno votato solo 24,77% degli elettori e per la Camera il 24,78%. 
Se osserviamo la partecipazione, in tutti i Paesi presi in considerazione, la quota non supera il 25% sia per le elezioni al Senato che per quelle alla Camera.
 
Mentre il voto degli Italiani all’estero e’ chiaramente un problema limitato, come Italiano, a prescindere dalla residenza, vi è un altro motivo di preoccupazione. Vi è infatti l’ aspetto politico/sociale/economico soprattutto legato ai referendum. 
 
Si dovrebbe forse rivedere le regole che governano questo strumento. Il “Referendum”, nato in un contesto geo-politico particolare, quello dell’Italia post bellica, a differenza di altre votazioni (politiche, regionali, comunali, elezioni europee), necessita di un quorum (50% + 1 degli aventi diritto al voto) per essere valido.  
 
Organizzare un referendum a livello nazionale ha un costo stimato tra i 300 e i 400 milioni di euro. Una cifra paragonabile a quella delle elezioni politiche, che diventa particolarmente significativa qualora l’esito sia nullo per la scarsa affluenza. 
 
Analizzando l’affluenza alle urne degli ultimi 50 anni ci si rende conto che mentre nei primi 25 anni questo strumento è stato efficace, la stessa cosa non si può affermare per i successivi tentativi.  In effetti dal 1997 ad oggi si è registrato un trend negativo; su 10 referendum indetti, solo uno ha superato lo sbarramento del 50%+1. il quorum, nel 2011 sull’acqua pubblica.  In pratica si è speso oltre 3 miliardi di euro per non ottenere nulla. 
 
 
Questo istituto non sembra funzionare molto bene, almeno per come è stato concepito dal legislatore: strumento principe di democrazia diretta e partecipativa. É un importante momento partecipativo, ma poco efficace. Andrebbe riformato. Un’opzione potrebbe essere la riduzione del quorum che ne certifica la validità.
 
Il modello di riferimento potrebbe essere il sistema elettorale delle politiche. Nelle ultime legislature, a prescindere dal colore dei vari governi, abbiamo avuto dei governi nazionali di minoranza, nel senso che rappresentavano almeno il 50% +1 dei votanti, diminuiti però nel corso degli anni e delle legislature. Nelle elezioni politiche svoltesi dal 2006 al 2022 si è passati da un affluenza dell’83,6 al 63,9 %.  Il quorum potrebbe essere determinato come una percentuale dell’affluenza alle urne riscontrata nelle ultime elezioni politiche. Se non si riduce il quorum che certifica la validità dei referendum, si rischia di indebolire ulterirormente questo fondamentale istituto. 
 
 
Se analizziamo il grafico dei risultati dal 1997 ad oggi, tranne le due eccezioni del 1999 e 2011, a malapena si e’ riusciti a superare il 30% dei votanti. Certamente non e’ ipotizzabile una riduzione tale del quorum, in quanto verrebbe a proporre dei risultati determinati da una minoranza non rappresentativa. D’altra parte non si puo’ costringere il cittadino a votare.  Purtroppo, un’altra chiave di lettura delle stesso grafico, mette in risalto  lo scarso interesse del cittadino verso questa forma di voto o verso tematiche che non riescono ad interessare piu’ di tanto.
Chi propone un referendum, dovrebbe forse essere maggiormente attento ai contenuti e alla loro rilevanza  per i cittadini.
 
Claudio Loffreda Mancinelli, Pittsburgh, USA
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