All’incrocio tra la fine dell’APE sociale e l’erogazione della pensione di vecchiaia, l’assegno mensile sarà più alto o più basso? Non è una domanda da poco, soprattutto considerando la differenza tra un’indennità e una pensione ordinaria. Ogni settimana arrivano domande sulla possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro o di integrarla con il pagamento di contributi volontari o con il riscatto della laurea. Proprio per questo è importante capire cosa cambia realmente passando dall’APE sociale alla pensione di vecchiaia.
Come prevedibile, l’APE sociale non fa risparmiare i lavoratori, ma rappresenta una misura di anticipo che ha i suoi limiti. Con la legge di Bilancio 2024 (30 dicembre 2023, n. 207, commi 175 e 176), il requisito anagrafico è stato innalzato a 63 anni e 5 mesi, con almeno 30 o 36 anni di contributi versati, a seconda dei casi. L’importo massimo dell’assegno mensile resta fissato a 1.500 euro lordi e non viene rivalutato fino al passaggio alla pensione di vecchiaia.
Chi percepisce l’APE sociale non riceve una vera pensione, ma un’indennità temporanea calcolata su una parte dell’assegno che spetterà solo al raggiungimento dei 67 anni.
È vero, per alcune categorie (disoccupati, caregiver, lavoratori gravosi o invalidi) può rappresentare una via strategica per uscire fino a quattro anni prima dal lavoro, ma pochi sanno che comporta anche la perdita di alcuni diritti, come ad esempio la non reversibilità del trattamento.
Nelle ultime settimane, il dibattito tra maggioranza politica e parti sociali si è concentrato sull’adeguamento alla speranza di vita della pensione di vecchiaia, che potrebbe aumentare di tre mesi. A partire dal 1° gennaio 2027, la pensione di vecchiaia potrebbe quindi essere richiesta a 67 anni e 3 mesi, salvo ulteriori variazioni.
Questo adeguamento coinvolgerebbe anche la pensione anticipata ordinaria, il cui requisito potrebbe salire a 43 anni e 3 mesi di contributi, sempre a partire dal 2027. Tali modifiche potrebbero interessare tutte le misure pensionistiche attive, allungando i requisiti per l’accesso.
In questo contesto di possibili cambiamenti, i percettori dell’APE sociale che si trovano a meno di due anni dal raggiungimento della pensione ordinaria potrebbero dover attendere qualche mese in più prima della trasformazione dell’indennità in pensione di vecchiaia.
Allo stesso tempo, potrebbe diventare più difficile accedere all’APE sociale in futuro, a causa delle necessarie modifiche per garantire la stabilità dei conti pubblici.
Quando si passa dall’anticipo pensionistico (APE sociale) alla pensione ordinaria, vengono garantiti tutti i diritti non maturati fino al compimento dei 67 anni, cioè durante il periodo in cui si percepisce l’indennità.
L’INPS effettua automaticamente il trasferimento del trattamento da APE sociale a pensione di vecchiaia al raggiungimento dei 67 anni, salvo eventuali modifiche normative.
Questo passaggio assicura una stabilità previdenziale e prevede diversi diritti, tra cui:
I percettori dell’APE sociale possono ricevere un importo massimo di 1.500 euro lordi per dodici mensilità. Se, dal calcolo del trattamento pensionistico, emerge un importo più alto, la parte eccedente viene trattenuta e non riconosciuta durante il periodo di fruizione dell’APE sociale, in base alle disposizioni normative previste dalla misura.
Tuttavia, questa parte non riconosciuta servirà ad aumentare l’importo della pensione di vecchiaia al momento del passaggio definitivo. Va sottolineato che l’INPS non riconosce arretrati per la differenza eccedente: durante il periodo in cui si percepisce l’APE sociale, tutto ciò che supera il limite di 1.500 euro lordi va perso e non viene recuperato come arretrato.
È interessante osservare come le misure di anticipo pensionistico prevedano spesso penalizzazioni anche significative sull’importo mensile. Il ritmo di crescita dell’assegno non viene riconosciuto durante l’APE sociale, mentre è garantito per diritto nella pensione di vecchiaia.