Vladimir Putin si propone come mediatore per fermare il nuovo conflitto tra Israele e Iran. L’ipotesi, però, solleva forti perplessità in Occidente, dove molti mettono in dubbio la credibilità del Cremlino come attore neutrale, soprattutto mentre la Russia è impegnata nella guerra contro l’Ucraina.
Il lancio dell'Operazione Rising Lion da parte di Israele contro l’Iran ha aperto nuovi scenari in Medio Oriente. Al quarto giorno dall’inizio degli attacchi sul suolo iraniano, le forze israeliane intensificano le azioni militari.
Gli Stati Uniti hanno negato il coinvolgimento nell’operazione israeliana fin dal primo giorno, il 13 giugno. Il presidente americano, Donald Trump, però, si propone come mediatore tra Tel Aviv e Teheran. In un post su Truth Social, infatti, ha invitato le parti a trovare un accordo di pace.
Donald J. Trump Truth Social 06.15.25 09:41 AM EST pic.twitter.com/5D6vJRgZ31
— Commentary Donald J. Trump Posts From Truth Social (@TrumpDailyPosts) June 15, 2025
Sebbene l'amministrazione Trump si ponga come mediatrice in risposta a diversi conflitti nel mondo, il presidente si è detto ottimista, come accade in molte delle sue missioni diplomatiche, sul fatto che la pace arriverà presto, citando anche il presidente russo, Vladimir Putin, come possibile alleato.
In un'intervista ad ABC News, ha affermato di essere aperto a un eventuale ruolo di mediazione da parte di Putin. Stavolta, però, Trump non è l’unico leader a voler portare la pace. Mosca si è già detta disponibile a cercare una soluzione diplomatica al conflitto tra Israele e Iran.
Prima dell’inizio dell’ultima escalation tra Israele e Iran, Mosca si era detta pronta a prendere l’uranio arricchito iraniano e trasformarlo in combustibile per uso civile. Una proposta che, nonostante l’inasprimento del conflitto, potrebbe ancora rappresentare una possibile via per allentare le tensioni.
La proposta resta sul tavolo, anche se la situazione tra i due Paesi si è ulteriormente complicata. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha affermato che la Russia è disposta a mediare, a patto che si affrontino le cause profonde del conflitto.
Mosca intrattiene relazioni con entrambe le parti: mantiene legami stretti con Tel Aviv ma considera Teheran un partner strategico sia a livello economico che militare. La disponibilità a mediare potrebbe dunque essere letta anche come un tentativo di rafforzare l’influenza russa in Medio Oriente.
L’obiettivo del Cremlino sembra, quindi, essere quello di favorire una stabilizzazione della regione.
L’idea che Vladimir Putin possa mediare tra Israele e Iran ha suscitato forti opposizioni tra diversi leader occidentali.
Sebbene il Cremlino si dica aperto a un possibile accordo per porre fine al conflitto in Medio Oriente, crescono i dubbi sulla reale volontà russa di favorire una de-escalation. Soprattutto alla luce dello stallo dei negoziati diplomatici in Ucraina, fermi ormai da mesi.
Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha respinto la proposta di Donald Trump, secondo cui Putin dovrebbe avere un ruolo negli sforzi di mediazione.
“Non credo che la Russia, attualmente impegnata in un conflitto ad alta intensità [la guerra contro l’Ucraina] e che da anni viola la Carta delle Nazioni Unite, possa svolgere il ruolo di mediatore”, ha dichiarato Macron.
Anche l’Unione Europea ha messo in dubbio la legittimità del Cremlino come interlocutore, sottolineando che la Russia “non ha alcuna credibilità” come potenziale mediatore e non può essere considerata un attore neutrale nel contesto internazionale.
Nonostante le dichiarazioni di Trump e del Cremlino, la credibilità della Russia come attore neutrale è messa in dubbio da più parti.
Resta aperta la questione su quale margine d’azione abbia davvero Mosca. Lo scorso gennaio, Russia e Iran hanno firmato un partenariato strategico contro minacce comuni, ma senza gettare le basi per una vera e propria alleanza militare.
Dopo anni di relazioni diplomatiche con entrambe le parti e con una guerra in corso in Ucraina, la Russia ora si mostra nuovamente una potenza globale proponendosi di affiancare gli Stati Uniti nella gestione della crisi in Medio Oriente. Un’agenda ambiziosa, che però solleva più interrogativi che certezze.