21 Jun, 2025 - 13:39

Trump ritarda la decisione sull’Iran: i fantasmi della guerra dell’Iraq pesano sul futuro del Medio Oriente

Trump ritarda la decisione sull’Iran: i fantasmi della guerra dell’Iraq pesano sul futuro del Medio Oriente

A più di vent’anni dalla guerra in Iraq, il mondo osserva con crescente preoccupazione i segnali di una nuova possibile escalation in Medio Oriente. L’operazione militare israeliana contro l’Iran e l’incertezza della risposta americana risvegliano memorie recenti che ancora gravano sulla coscienza internazionale. Donald Trump ha deciso di prendersi del tempo. La storia insegna che le scelte prese in queste ore possono avere conseguenze durature.

La memoria lunga della guerra dell'Iraq

Era poco più di 22 anni fa. Allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush pronunciava un ultimatum di guerra. “Miei concittadini, gli eventi in Iraq sono ormai giunti agli ultimi giorni decisivi”, affermava Bush.

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Per oltre un decennio, gli Stati Uniti e altre nazioni hanno perseguito sforzi pazienti e onorevoli per disarmare il regime iracheno senza ricorrere alla guerra. Quel regime si era impegnato a rivelare e distruggere tutte le sue armi di distruzione di massa come condizione per porre fine alla Guerra del Golfo Persico nel 1991.

Ispezioni per la supervisione del disarmo dell’Iraq, anni di diplomazia, eppure il presidente americano riferiva che il regime iracheno continuava a possedere e nascondere “alcune delle armi più letali mai concepite” e aggiungeva che queste venivano utilizzate contro il popolo iracheno.

Per Washington, Saddam Hussein non doveva più essere al potere. E Bush si rivolgeva al popolo iracheno affermando:

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Abbatteremo l'apparato del terrore e vi aiuteremo a costruire un nuovo Iraq, prospero e libero.

Quando è arrivato il 19 marzo 2003, il mondo si è svegliato a testimoniare una nuova guerra. Le forze americane e la coalizione hanno avviato operazioni militari “per disarmare l’Iraq”.

Stavolta Bush, nel suo discorso alla nazione, si rivolge alle forze coinvolte sul campo:

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La pace di un mondo travagliato e le speranze di un popolo oppresso dipendono ora da voi.

Oltre due decenni dopo, queste parole restano ancora attuali mentre la comunità internazionale guarda con preoccupazione agli sviluppi in Medio Oriente.

Il parallelo con l’Iran è inevitabile, non solo per il contesto geopolitico, ma per la dinamica stessa che richiama decisioni già viste, basate su minacce percepite.

Israele colpisce, Trump prende tempo

Nel 2003, il regime di Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa? La storia ha dimostrato il contrario. Le implicazioni della guerra in Iraq, però, si ripercuotono ancora oggi.

Con l’avvio dell’operazione militare israeliana in Iran, l’amministrazione americana sta valutando un eventuale intervento, ipotizzando l’uso delle bombe “bunker buster” GBU-57 per colpire l’impianto nucleare più protetto dell’Iran.

Questa volta la questione è se l’Iran stia costruendo un’arma nucleare.  Secondo l’intelligence statunitense, Teheran non è vicina a possederne una. Il presidente americano, Donald Trump, respinge tuttavia questa valutazione.

Per i sostenitori della guerra, il momento rappresenta un’opportunità storica per ridefinire gli equilibri del Medio Oriente.

Ma i fantasmi della guerra dell’Iraq spingono in direzione opposta: verso la prudenza, verso la diplomazia. La guerra è diventata una lezione storica, scritta col sangue di oltre 4mila soldati americani e più di 100mila civili iracheni.

Gli Stati Uniti non hanno certo costruito un nuovo Iraq prospero e libero, come promesso. Un fragile equilibrio è tornato solo a distanza di decenni. A pagare il prezzo più alto è stata la popolazione civile, tra destabilizzazione e distruzione.

In questo contesto, per coloro che sostengono la linea “America First”, la scelta giusta appare chiara: tenere gli Stati Uniti fuori da nuove guerre.

Una posizione che Trump aveva difeso con forza durante la sua campagna elettorale, opponendosi apertamente alle “guerre eterne” americane.

Diplomazia o escalation: la posta in gioco per Trump

Con un eventuale coinvolgimento americano, gli equilibri interni in Iran potrebbero sfuggire al controllo. Quale sarebbe allora la strategia? E dove si posizionerebbe il popolo iraniano in un simile scenario?

Una decisione del genere rappresenterebbe una scommessa enorme anche per Trump stesso, che rischierebbe di rinnegare alcuni dei suoi principi fondamentali.

La memoria della guerra in Iraq incombe come monito. L’America si trova ancora una volta davanti a un bivio tra interventismo e contenimento. Ma il tempo è limitato. La finestra diplomatica concessa da Trump potrebbe essere l’ultima occasione per scongiurare una nuova guerra.

Il parallelismo storico con il 2003 non è solo narrativo, ma profondamente sostanziale. Decisioni che pesano su chi le prende, ma ancor di più su chi dovrà subirne le conseguenze.

Mentre il mondo trattiene il respiro, la speranza resta che la lezione dell’Iraq non venga dimenticata.

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