Pudico, riservato, quasi schivo. Luca Carboni non è mai stato un artista da grandi proclami, anzi ha preferito sempre trasferire le sue emozioni più profonde alle note e alle parole delle sue canzoni.
Forse è proprio per questo che la sua confessione sulla fede, rilasciata con onestà e con la semplicità che lo contraddistingue, arriva ancora più diretta. "Gesù ci è sempre stato nella mia vita", racconta il cantautore, facendoci conoscere un lato inedito e spirituale del suo mondo.
Luca Carboni non ha mai fatto della religione un vanto pubblico, ma chi lo conosce bene sa quanto la fede abbia avuto un ruolo profondo e costante nella sua vita.
"Gesù c'è sempre stato nella mia vita", ha raccontato in una recente intervista con don Massimo Vacchetti, nella quale ha rivelato un rapporto intimo e radicato che affonda le sue radici nell'infanzia.
Cresciuto in una famiglia dove la spiritualità non è mai stata imposta ma semplicemente trasmessa con naturalezza, ha trovato in sua madre - catechista - una guida discreta, capace di aprirgli una "finestra sul divino".
Il cantautore bolognese ha saputo coltivare questa fede in modo coerente con il suo carattere riservato, senza ostentarla, senza predicarla, ma solamente vivendola. E lo fa da sempre.
Già nel 2011, in un'intervista, si era definito "cattolico praticante" e aveva parlato dell'l'importanza della messa domenicale e della preghiera nella sua quotidianità. Un legame con la religione che non si è mai interrotto, neanche nei momenti più difficili.
Uno di questi momenti difficili è arrivato nel 2022, quando Luca Carboni ha reso pubblica la sua battaglia contro un tumore al polmone. In quell'occasione, ha scelto di prendersi una pausa dai social e da ogni forma di comunicazione pubblica.
Un silenzio che più che assenza è stata concentrazione: «Ho spento tutto, mi sono messo in ascolto», ha detto in un'intervista al Corriere della Sera. Un tempo in cui la preghiera, il contatto con la natura e la riflessione interiore hanno avuto un ruolo centrale, per affrontare la malattia con lucidità e forza.
In un incontro con dei giovani animatori, Carboni ha offerto una chiave di lettura preziosa: «L'arte è un viaggio verso l’anima». Per lui, la creatività è uno strumento per esplorare se stessi, per dare forma a quell'inquietudine e a quella ricerca di senso che accomuna tutti.
Le sue canzoni, anche quando non parlano esplicitamente di Dio, sono intrise di questa tensione spirituale: una ricerca continua, piena di dubbi, ma anche di una speranza incrollabile.
La serata e l'intervista con Don Vacchetti prendono una piega inaspettata quando, da un vecchio baule posto sul palco, il parroco estrae una maglia rossoblù.
Quell'oggetto innesca un fiume di ricordi in Luca Carboni, che si lascia andare a un racconto che profuma di cortili e cemento. "La frase 'Bologna è una regola' l'ho scritta quando ero solo un ragazzino," confida.
Racconta di una passione nata non sugli spalti dello stadio, dove il padre non lo portava, ma tra i fili del bucato e gli amici di sempre. Dipinge un'immagine potentissima: le sue scarpe da calcio, con i tacchetti limati dall'asfalto, erano le stesse che usava per correre a fare il chierichetto.
Un idolo, Beppe Savoldi, scelto proprio perché "non finiva mai in nazionale", un eroe non eroe che il cantante ha fatto suo. Una passione terrena che poi si è evoluta, abbracciando il basket e la Fortitudo, fino a diventare un contributo artistico quando, insieme a Dalla, Morandi e Mingardi, scrisse l'inno per il Bologna dell'era Corioni-Maifredi.
Da quel racconto di fede sportiva, don Vacchetti sposta delicatamente il discorso su un piano più intimo, chiedendo a Luca del suo rapporto con Gesù, figura che affiora spesso nelle sue canzoni. La risposta di Carboni è disarmante nella sua semplicità.
Parla di una famiglia profondamente cattolica, di una madre catechista, e di una connessione con la Chiesa che ha sempre sentito "dentro", una presenza costante che non ha mai avuto bisogno di cercare fuori. Una spiritualità che, racconta, ha ritrovato con forza nella natura durante un periodo difficile segnato dalla malattia.
Il culmine emotivo della serata arriva però nel finale. Sul palco salgono i figli di Claudio Chieffo, uno dei più grandi autori di canti religiosi.
Anni prima, per un album tributo, Carboni aveva interpretato una delle sue canzoni più celebri, "Io non sono degno". Mentre i ragazzi intonano quella melodia, Luca non si unisce al centro della scena. Resta un passo indietro, quasi in disparte, e ne sussurra le parole.
Un gesto di umiltà profonda, la fotografia perfetta di una fede vissuta non per essere esibita, ma per essere condivisa sottovoce, con rispetto e partecipazione sincera.